Hamas verso il no alla pace di Bibi e Israele si sfoga sulla Striscia

A Gaza tregua a rischio: Hamas verso il no alla proposta di Israele. E Bibi si sfoga sulla Striscia mentre pensa al blitz contro l'Iran

Hamas verso il no alla pace di Bibi e Israele si sfoga sulla Striscia

Sono ore di attesa e speranza per il Medio Oriente, dove — letteralmente da un momento all’altro — è attesa la risposta di Hamas alla proposta di cessate il fuoco formulata da Israele, che prevede la liberazione di 10 ostaggi vivi e 16 morti in cambio di 40 giorni di tregua. Al momento, tutto lascia pensare che il movimento palestinese finirà per rifiutare l’accordo, poiché questo — tra le altre cose — prevederebbe il disarmo del gruppo e l’assenza totale di garanzie per una stabilizzazione definitiva della tregua.

A suggerire questa direzione sono anche le dichiarazioni di diversi funzionari di Hamas, che hanno fatto sapere che “sono vicine alla conclusione” le discussioni interne al movimento sulla bozza di accordo e che, per questo, “la risposta arriverà a breve”. Ancor più indicative, però, appaiono le parole di uno dei principali esponenti del gruppo, Husam Badran, secondo cui l’organizzazione “respinge esplicitamente qualsiasi proposta che preveda il disarmo del movimento”, ricordando che Hamas aveva già accettato “una precedente proposta di scambiare cinque ostaggi con 250 prigionieri, di cui 100 condannati all’ergastolo, oltre ai 2.000 prigionieri arrestati dopo il 7 ottobre”.

Ma non è tutto. Secondo diversi media locali, un altro funzionario di Hamas avrebbe affermato che il gruppo “sta ancora preparando la contro-risposta alla proposta israeliana su Gaza”, lasciando intendere un probabile rifiuto.

A Gaza peggiora la crisi umanitaria

Mentre la diplomazia muoveva i suoi passi, la situazione nella Striscia di Gaza ha continuato a peggiorare. Hamas ha ribadito che le dichiarazioni del ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, il quale ha escluso la possibilità di autorizzare nuovamente l’ingresso degli aiuti, costituiscono “una nuova pubblica ammissione di un crimine di guerra”.

“Ciò include l’uso sfacciato della fame come arma e la privazione dei beni di prima necessità (cibo, medicine, acqua e carburante) a civili innocenti per la settima settimana consecutiva”, ha aggiunto il movimento in una nota. Che non si tratti di accuse infondate lo ha confermato anche l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), secondo cui questa settimana la Striscia di Gaza starebbe attraversando “probabilmente la peggiore” situazione umanitaria dall’inizio del conflitto, avvenuto il 7 ottobre 2023.

Sulla Striscia ennesima pioggia di bombe

Quella di ieri è stata una giornata segnata da una serie di attacchi dell’esercito israeliano (IDF) su tutta la Striscia di Gaza. Particolarmente drammatica la situazione a Khan Younis, dove — secondo la Protezione civile palestinese — la pioggia di bombe avrebbe colpito alcune tende che ospitavano famiglie di sfollati, causando almeno 25 vittime. Missili hanno colpito anche il campo profughi di Jabalia, provocando sette morti, e la città di Beit Lahia, dove sono deceduti altri sei civili palestinesi.

Ad aggravare ulteriormente il bilancio è stato anche un “incidente” che ha coinvolto una scuola dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), dove — secondo l’agenzia stampa Wafa — sarebbero stati uccisi una decina di palestinesi.

Sale la tensione con Teheran

Nel frattempo trova conferma l’indiscrezione secondo cui Benjamin Netanyahu starebbe preparando un attacco all’Iran. A rivelarlo è il New York Times, che — citando funzionari dell’amministrazione di Donald Trump — ha riportato che le autorità israeliane avevano pianificato di colpire i siti nucleari iraniani nel mese di maggio. La notizia avrebbe fatto infuriare il tycoon, che avrebbe convinto l’amministrazione israeliana a desistere. Tuttavia, lo stop all’attacco potrebbe essere solo temporaneo.

Sempre secondo il quotidiano americano, infatti, gli Stati Uniti si riservano la possibilità di lanciare un blitz contro il regime di Teheran nel caso in cui, durante i colloqui sul nucleare attualmente in corso, l’Iran dovesse rifiutare ogni proposta di accordo. Un eventuale rifiuto potrebbe condannare il Medio Oriente a una nuova, devastante escalation.