“A Gaza la vita si è fermata”. Parla la presidente di Support and Sustain Children, Martini: “Con questa guerra sta crescendo una nuova generazione arrabbiata”

"A Gaza la vita si è fermata". Parla la presidente di Support and Sustain Children, Martini: "Crescerà una generazione arrabbiata"

“A Gaza la vita si è fermata”. Parla la presidente di Support and Sustain Children, Martini: “Con questa guerra sta crescendo una nuova generazione arrabbiata”

Dal 7 ottobre 2023, il Medio Oriente è sconvolto dalla guerra nella Striscia di Gaza. Arianna Martini, presidente della onlus Support and Sustain Children, qual è la situazione dei palestinesi e in particolare quella dei più giovani?
“La situazione è drammatica, mi creda. Da quando è avvenuto l’attentato, la vita nella Striscia si è letteralmente fermata per tutti. Molti vengono uccisi costantemente, quotidianamente, e non esistono zone sicure perché queste poi vengono bombardate oppure perché vengono portate avanti incursioni terrestri. Puntualmente vengono inviati avvisi dall’esercito israeliano per far spostare i residenti da una zona sicura all’altra, ma la realtà è che non c’è più spazio e non esiste una zona tranquilla nella Striscia. La normalità non esiste più e a soffrire sono soprattutto bambini e donne. Parlo con cognizione di causa perché abbiamo un team locale composto da due persone; erano quattro, ma due sono stati uccisi. Si trattava di due giovani brillanti che si davano da fare per aiutare il prossimo e che hanno documentato quanto sta accadendo. L’unica realtà è che stanno uccidendo i sogni e le ambizioni di un’intera generazione, costretta a fuggire dalle bombe, senza avere praticamente niente per mantenersi”.

In che modo la onlus Support and Sustain Children intende aiutare la popolazione di Gaza?
“Siamo una onlus che da dodici anni lavora in Medio Oriente e soprattutto in Siria, quindi abbiamo usato la nostra esperienza e da marzo abbiamo costituito un team interno in Palestina. Per quanto ci riguarda, abbiamo ovviato all’impossibilità di far passare i beni e gli aiuti attraverso i valici acquistandoli dal mercato interno, anche a costi proibitivi. Nello specifico acquistiamo camion carichi di acqua potabile e cibo. Personalmente coordino il team, ma le difficoltà sono enormi perché a volte vengono bloccate le linee telefoniche oppure non si riesce materialmente a contattare il team per giorni, poiché vivendo in strada, può capitare che non riescano a caricare il telefono”.

Da tempo le autorità palestinesi sostengono che Israele blocca gli aiuti umanitari a Gaza. Cosa c’è di vero?
“Il blocco degli aiuti umanitari non è legittimo, ma viene praticato dall’inizio della guerra, con il risultato che è difficilissimo aiutare la popolazione. La realtà è che ad oggi i valichi sono chiusi; addirittura, in quello di Rafah sono andati con i bulldozer per abbattere i cancelli. Per evitare tutto ciò, si passa dalla Giordania, come faremo noi lunedì, ma soltanto con progetti autorizzati da Israele. Riguardo alle difficoltà sul campo, le dico che conosco personalmente autisti di camion che sono stati minacciati o che hanno subito il furto del carico o la sua distruzione. Ho visto una cattiveria che va ben al di là di questioni geopolitiche”.

Benjamin Netanyahu sostiene che il conflitto avrà termine solo con la sconfitta di Hamas a Gaza. Crede sia un obiettivo realistico?
“No, non è un obiettivo realistico. A mio parere, non sconfiggeranno mai Hamas esattamente come non ci sono riusciti con l’ISIS. Con questa guerra ho la sensazione che ci sia la volontà di eliminare un’intera popolazione”.

Non crede che questa guerra, anziché risolvere il problema della convivenza pacifica tra palestinesi e israeliani, rischi di fomentare le divisioni?
“La guerra non è mai una soluzione e dietro ogni conflitto si nascondono sempre ragioni molto pragmatiche. Detto questo, mi limito a dire che la convivenza tra i due popoli sarebbe possibile perché è già avvenuta in passato. C’è tanta letteratura israeliana che ha raccontato tutto ciò. Il problema è che temo una convivenza pacifica non sarà possibile per molto tempo perché con questa guerra sta crescendo una nuova generazione di ‘arrabbiati’. Le faccio notare che chi sopravviverà al conflitto, oltre ai migliaia di morti con cui convivere, dovrà fare i conti anche con la distruzione delle infrastrutture e soprattutto dell’intero sistema educativo”.

A suo avviso, la comunità internazionale sta facendo tutto il possibile per fermare la strage?
“Onestamente, non vedo grande impegno da parte della comunità internazionale. Chi potrebbe e dovrebbe alzare la voce, mi riferisco a persone di spicco, non lo sta facendo e temo che ciò dipenda dal fatto che esistono cause di serie A e altre di serie B”.