Una vita al microfono delle più importanti emittenti nazionali: Deejay, 105, Italia Network, Virgin. Marco Biondi è uno dei personaggi più eclettici della radio, sempre alla ricerca di nuove avventure in campo discografico e televisivo.
I tuoi 11 anni a Radio Deejay: il segreto di un successo così rilevante?
“Il gruppo e la creatività. Il gruppo era molto forte, eravamo tutti attaccati ai colori della radio e quel gruppo era pieno di creativi. Osavamo, inventavamo cose nuove, mettevamo musica che le altre radio non trasmettevano e avevamo un pubblico che viveva con noi ogni sua giornata. È stata un’esperienza pazzesca e penso irripetibile, non ho visto più niente di simile in radio negli anni seguenti. Far parte di quel gruppo ti faceva crescere ogni giorno anche soltanto stando lì a fare radio con gli altri. Avevamo tutti un senso di appartenenza che è ancora dentro di noi, chi era in quella Radio Deejay, ancora oggi si sente parte di quella radio, è inevitabile”.
Come hai vissuto l’esperienza a Radio 105 trasmettendo in diretta dagli Stati Uniti?
“Vivevo a New York ma non riuscivo a rendermene conto, quando pensavo a New York pensavo fosse in un altro posto! Una città spettacolare, piena di vita, di energia, di cose da fare, di incontri incredibili. Lì i sogni possono diventare realtà ogni giorno. In Italia, purtroppo, spesso restano sogni anche in città come Milano o Roma. Ho vissuto a New York per più di un anno, a cavallo fra il 1999 e il 2000, ormai più di 20 anni fa, e a pensarci oggi mi fa un effetto strano; fatico a riconoscere in me quella persona che ha avuto la fortuna di vivere un’avventura così pazzesca. Eppure sì, ero proprio io. Anche se a volte me ne convinco solo quando sono gli altri che erano con me a raccontarmi ciò che abbiamo fatto insieme”.
Nella tua vita tante interviste importanti…
“David Bowie in primis, poi Bruce Springsteen, Vasco Rossi con cui ho fatto cinque lunghe interviste, Phil Collins, U2, Depeche Mode, ma la mia soddisfazione è anche aver intervistato giovani artisti completamente sconosciuti e aver contribuito al loro lancio e alla loro crescita, come Oasis, Blur, Alanis Morissette, Take That, in Italia Negrita, Blu Vertigo, Subsonica e in tempi più recenti Ermal Meta fin dai suoi inizi con il gruppo La Fame di Camilla. Andando anche in giro per il mondo a fare interviste succedevano cose curiose, come quando ero a Londra per intervistare i Depeche Mode in una stanza di un elegantissimo Hotel e appena finita l’intervista mi sono imbattuto in Al Bano e Romina Power che soggiornavano nello stesso hotel. Ci siamo fermati a fare quattro chiacchiere e così, dal parlare di elettronica e del nuovo album con Martin Gore e Andy Fletcher, dieci minuti dopo mi sono ritrovato a parlare con Al Bano dei Cigni di Balaka e della sua causa con Michael Jackson!”.
Recentemente sei approdato a Radio Rock…
“Con Radio Rock ho trovato quello che non pensavo più di trovare e che non stavo più cercando, cioè una radio veramente libera da schemi, da paletti, da condizionamenti, da censure. Radio Rock è libertà sotto tutti i punti di vista, è potersi esprimere, inventare, creare. Tutte cose che la radio di oggi ha in parte perso, soprattutto nei grandi network, ormai sempre più ingessati e chiusi in sé stessi. L’unico rammarico è di fare solo un’ora alla settimana, ma per vari motivi in questo momento mi è davvero difficile poter fare di più e mi dispiace. Ma forse è meglio una sola ora buona che tante mediocri”.
Parallelamente all’attività di deejay svolgi anche quella di discografico.
“Sono sempre stato affascinato da tutto ciò che nasce: artisti, label nuove, fenomeni musicali; ho sempre portato nei miei programmi tutto quello che ho scoperto e questo continuo a fare. Come direttore artistico di Sorry Mom! mi occupo di artisti emergenti della scena musicale italiana, li aiuto a crescere, metto a loro disposizione la mia esperienza. C’è un fermento musicale incredibile in Italia ma è totalmente snobbato dai media che rincorrono sempre e solo i quattro personaggi più noti. Io, invece, con i nomi nuovi ci sguazzo e provo a dar loro una mano. È così bello comunicare agli altri il proprio sapere, il proprio know how. A che serve essere esperti in qualcosa se poi te lo tieni per te?”.