Il Mondo di mezzo non fu mafia ma una colossale vicenda di corruzione. Dopo quasi un anno e ben 379 pagine di motivazioni, la Cassazione ha messo nero su bianco i perché è stata ribaltata la sentenza della Corte d’Appello che, invece, aveva riconosciuto la pesante accusa a carico di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati. “L’associazione mafiosa non è un reato associativo puro e per la configurazione del reato di 416bis è necessario che il gruppo abbia fatto un effettivo esercizio, un uso concreto della forza di intimidazione, non essendo sufficiente un semplice dolo per farvi ricorso” perché “occorre che il sodalizio dimostri di possedere detta forza e di essersene avvalso” scrivono i giudici.
Anzi secondo loro la situazione è addirittura più grave perché gli arrestati non hanno mai avuto bisogno di ricorrere alla violenza, quella tipica delle organizzazioni del sud, semplicemente perché la maggior parte dei politici e dei funzionari implicati nell’inchiesta non chiedevano altro che denaro e favori, anche di poco conto, in cambio di appalti o delibera costruite ad hoc.
CORTE CONTRO CORTE. Un sistema di “collusione generalizzata e sistemica” in cui si muovevano, come affermato nel processo di primo grado, due distinte associazioni per delinquere semplici, l’una dedita prevalentemente a reati di estorsione, facente capo a Carminati, e l’altra impegnata in una continua attività di corruzione nei confronti di funzionari e politici gravitanti nell’amministrazione comunale romana ovvero in enti a questa collegati, al cui vertice vedeva il ras delle coop Buzzi. Proprio per queste ragioni secondo la Cassazione, “la valutazione operata dalla Corte di appello si rivela gravemente erronea” in quanto “è di palmare evidenza che non solo non risulta la disponibilità di armi ma neanche sono state dimostrate nel giudizio le strette relazioni con gli altri gruppi mafiosi”.
Non solo. Anche “lo sfruttamento della forza di intimidazione è circostanza che questa Corte di Cassazione, nelle sentenze citate, basava su di un determinato materiale indiziario” ma che il processo “sulla scorta dell’istruttoria dibattimentale ha smentito”. A dirla tutta “appare evidente, dalla semplice lettura della sentenza di secondo grado, che non risulta affatto il ruolo di Carminati quale terminale di relazioni criminali con altri gruppi mafiosi” e nemmeno, scrivono i giudici, quello di tramite “con settori finanziari, servizi segreti o altro” in quanto “la gestione delle relazioni con gli amministratori era compito quasi esclusivo di Buzzi.
I CLAN ESISTONO. Parole, queste, su cui è intervenuto il presidente grillino della Commissione Antimafia, Nicola Morra, che su Facebook ha commentato le motivazioni della sentenza spiegando che “la Cassazione ha confermato che Buzzi e Carminati erano impegnati in una continua attività di corruzione nei confronti di funzionari e politici gravitanti nell’amministrazione comunale romana”. “Qualcuno obietterà che però non viene riconosciuta l’associazione mafiosa per l’organizzazione di Buzzi e Carminati. È vero ma ciò non vuol dire che a Roma non esista la mafia” prosegue Morra perché “è la stessa Corte a chiarirlo”.
La verità, secondo il presidente grillino, è che “la mafia a Roma c’è” come anche “la corruzione della politica romana che negli anni passati è stata sistematica da parte del mondo di mezzo” e se c’è “chi non vede nella lotta al crimine una battaglia prioritaria da portare avanti a Roma, e nega i primi risultati della stessa, non può che essere in malafede”.