di Francesco Nardi
L’ingorgo istituzionale era ampiamente previsto, ma nonostante questo Napolitano di certo non poteva immaginare una fine così burrascosa per il suo settennato. Il decimo Presidente della Repubblica ha avuto il suo bel da fare, anche sul piano dei rapporti politici, dovendo gestire le frequenti critiche che nel corso delle ultime legislature gli sono state mossa dall’Idv di Antonio Di Pietri prima e da Grillo e il suo movimento poi. Accuse spesso molto dure e in diversi casi obiettivamente ingrate. Ma tutto questo è nulla se confrontato con il giudizio trasversale sugli ultimi giorni del suo mandato, il cui saldo è coperto dall’ombra lunga della gestione dello stallo, con la nomina dei saggi e tutto ciò che ne è seguito. Tanto è divenuta fitta la contestazione nei cofronti dell’operato del Capo dello Stato che Eugenio Scalfari ha avvertito il bisogno di certificarne l’esemplare imparzialità, in un suo recento articolo, virtù che il fondatore di Repubblica ha contestualmente riconosciuto solo anche a Carlo Azeglio Ciampi e a Luigi Einaudi.
Ad ogni modo Giorgio Napolitano è stato senz’altro un Capo dello Stato singolare, sempre al limite tra la figura del presidente “interventista” e di quello cosiddetto “notaio”. Un’interpretazione del mandato che si era evidente in molti passaggi cruciali del suo settennato, e quello finale è certamente quello più intenso, ma che si può dedurre anche dall’analisi di alcune statistiche che riguardo la parsimonia con la quale il presidente partenopeo ha voluto esercitare determinati poteri che la Costituzione gli attribuisce.
Napolitano, infatti, è innanzitutto il Capo dello Stato che ha adottato il minor numero di atti di clemenza nella storia Repubblicana: emanandone appena 21 (due nelle ultime settimane).
Maglie larghe nella prima Repubblica
Il confronto è ragionevolmente impari con Luigi Einaudi, sul Colle nell’immediato dopo guerra, che graziò o commutò pene 15.578 volte. Ma anche con gli altri che furno inquilini del Quirinale nella cosiddetta prima Repubblica il confronto è improponibile. Fatta eccezione per Antonio Segni, che emanò “solo” 926 atti di clemenza, tutti gli altri si sono prodigati nell’esercizio di questo potere nell’ordine delle migliaia di volte. Tra reati comuni e reati militari Gronchi lo esercitò 7.423 volte, Saragat 2.925, e così anche la controversa presidenza Leone, fu segnata da ben 7.498 atti di clemenza. E altrettanto fece il compianto presidente Pertini che appose la sua firma mutando le sorti di ben 6.095 condannati, di cui una buona metà scontavano pene per reati militari.
Clemente si manifesto anche Francesco Cossiga, Capo dello Stato dal 1985. Il presidente picconatore, sebbene in misura inferiore ai suoi predecessori non lesinò l’esercizio del potere conferitogli dall’articolo 87 della Costituzione emenando atti in tal senso in 1395 occasioni.
La musica è cambiata a ridosso della seconda Repubblica, con l’elezione di Oscar Luigi Scalfaro. Il magistrato novarese, già a quel tempo presidente della Camera dei Deputati, salì al Colle nel maggio del 1992 e fu il primo ad esercitare con maggiore parsimonia il potere di concedere la grazia o commutare le pene: durante la sua permanenza sul Colle emanò infatti 339 atti di clemenza. E ancora meno ha scelto di fare durante il suo mandato Carlo Azeglio Ciampi che è intervenuto sul destino di appena 114 detenuti. Cifre, quelle che si riferiscono ai settennati di Scalfaro e Ciampi, che segnano un evidente inversione di tendenza rispetto al passato, ma che confrontate con i 21 provvedimenti adottati da Giorgio Napolitano suggeriscono qualcosa di ancora più profondamente mutato nella percezione di un istituto che forse in precedenza era stato addirittura abusato.
L’esercizio di questo potere, a dispetto del diverso uso che ne è stato fatto, ha comunque confini sfumati e che da anni alimentano scontri politici e dottrinali circa la sua corretta applicazione.
Il caso più eclatante è occorso durante il settennato di Carlo Azeglio Ciampi in relazione alla posizione di Adriano Sofri. Lo scontro politico insisteva sulla particolare natura dell’atto che per alcuni era da considerarsi solo formalmente presidenziale, ovvero inapplicabile se non di concerto con il ministro proponente, ovvero quello della Giustizia.
Le diverse interpretazioni
In quel caso a via Arenula sedeva Roberto Castelli che assunse posizioni del tutte contrarie a quelle dell’allora Capo dello Stato.
Ma non sono certamente stati motivi di questo genere a determinare la parsimonia con la quale il presidente Napolitano ha utilizzato il potere di concedere grazie. Tuttavia, pur avendo emanato un numero ridottissimo di provvedimenti in alcuni casi Napolitano non è stato esente dalle polemiche di rito. Il primo caso è stato quello della commutazione della pena del direttore de il Giornale Alessandro Sallusti. Ed il secondo, e ultimissimo, è quello che riguarda la grazia al colonnello colonnello statunitense Joseph L. Romano III, condannato dalla Corte d’Appello di Milano per il rapimento, nel 2005, dell’allora imam di Milano Abu Omar.
Ma non è solo a propposito della grazie che l’attuale Capo dello Stato ha interpretato in enso restrittivo l’opportunità di esercitare i suoi poteri. Il presidente Napolitano ha infatti nominato un solo senatore a vita, Mario Monti, a differenza dei suoi tre predecessore che ne hanno nominati cinque ognuno.
Ma anche su questo potere insiste una annosa controversia dottrinale, perché la Costituzione attribuisce al Capo dello Stato il potere di nomina di cinque senatori, ma per alcuni si deve intendere che l’inquilino del Colle può nominare senatori a vita in misura intergrativa del numero massimo di cinque in carica.
Non messaggi ma saggi
E infine, Napolitano ha evitate di esercitare anche un altro potere che pertine al suo incarico, ovvero quello di inviare messaggi alle camere. In questo caso non c’è grande differenza con quanto hanno scelto di fare i suoi predecessori. Si tratta infatti di un potere che è stato snobbato da gran parte dei Presidenti della Repubblica. Una sola volta lo hanno esercitato Segni, Leone, Scalfaro e Ciampi. Solo Cossiga vi ha fatto ampio ricorso, inviandone, nella sua stagione da”picconatore” addirittura nove. Un numero relativamente enorme, ma accadeva molti anni fa, quando ancora non si sapeva bene cosa fosse lo spamming.