di Vittorio Pezzuto
Manca il lavoro ma i nostri parlamentari si ostinano a chiedere nuovi Ordini e Albi professionali. Chiamati a risolvere o quantomeno a mitigare gli effetti di una crisi economica senza precedenti, continuano a industriarsi per innalzare ruvidi paletti normativi intorno alle nuove professioni. Un paradosso perverso. Vorrebbero insomma dar vita a nuove cittadelle corporative, quelle che da anni irretiscono con i loro vigorosi niet ogni timida proposta di ridimensionamento delle loro funzioni. In questo primo mese di forzata inattività un piccolo avamposto di deputati e senatori ha già presentato proposte di legge per regolamentare le figure professionali dell’odontoiatra di famiglia e dell’assistente di studio odontoiatrico (Vinicio Peluffo, Pd), dell’esperto in medicina manuale vertebrale” (Basilio Catanoso, Pdl), di assistente sociale specialista (Maria Antezza, Pd), del mediatore interculturale (Delia Murer, Pd), dell’educatore di asilo nido (Pietro Laffranco e Maurizio Bianconi, Pdl) e del musicoterapeuta (Daniela Sbrollini, Pd). Quest’ultima vorrebbe riconosciuta per legge anche la figura del giornalista libero professionista: un ossimoro che fa rabbrividire chi come noi è contrario allo stesso Ordine dei giornalisti.
Un fiume carsico di proposte
Ripresentate spesso di legislatura in legislatura, queste iniziative restano agli atti come testimonianze del modus intelligendi della nostra classe politica: l’appartenenza a una nuova casta non si nega a quanti – amici, parenti, militanti di partito – ambiscono a veder finalmente riconosciuto il primo lavoro come “serio” e di prima categoria. Nella legislatura appena conclusasi la deputata Angela Napoli (Pdl) chiedeva a gran voce un Ordine dei traduttori e interpreti e la senatrice Adriana Poli Bortone (Pdl) riteneva non più rinviabile la costituzione dell’Ordine degli Statistici. E se il senatore Vincenzo Galioto (Udc) voleva un Albo nazionale degli educatori museali, il collega Giampaolo Bettamio (Pdl) non si dava pace per l’ancora inesistente disciplina della professione di investigatore. Il deputato leghista Massimo Polledri voleva garantire i cittadini anche post portem tramite l’istituzione dell’Albo professionale dei tecnici sanitari dell’obitorio. La deputata ed ex campionessa Manuela Di Centa (Pdl) e il senatore Antonio Fosson (Misto) puntavano invece al riordino delle professioni del turismo montano. Dotato di una veduta più larga (sia pure di pochi centimetri) il deputato finiano Fabio Granata, che voleva mettere finalmente mano all’ordinamento della professione di guida turistica. Se il senatore leghista Piergiorgio Stiffoni invocava norme stringenti per i maestri di fitness, a Montecitorio l’esponente del Pdl Antonio Mazzocchi non si dava pace che non fossero ancora disciplinate le professioni di estetista professionale, di onicotecnico (colui che a fini estetici ti applica unghie artificiali) e di tecnico dell’abbronzatura artificiale. Il radicale Marco Beltrandi voleva addirittura regolamentare l’attività dei facitori della sfoglia emiliano-romagnola. Nientedimeno. Massimo Vannucci, Massimo Fiorio e Mario Lovelli (tutti del Pd) desideravano infine che il Parlamento si pronunciasse su una questione dirimente: l’istituzione di un Albo professionale dei consulenti filosofici. Peraltro, già nel 2006 Erminia Mazzoni (Udc) intendeva disciplinare la meritoria attività dell’antropologo esistenziale, «che interviene sul disagio attraverso l’uso attento della comunicazione».
Quello della corporazione a tutti i costi è un fiume carsico che riappare puntuale in qualsiasi Parlamento. Tanto che già al termine della XV legislatura si potevano censire proposte di legge per l’istituzione di tredici Ordini (dagli stenotipisti ai doppiatori cinematografici passando per i periti industriali, gli esperti contabili, gli informatici, i professionisti nella conservazione dei beni culturali) e di altri 57 Albi professionali. Artisti (con buona pace del pubblico), agenti di spettacolo, informatori scientifici del settore farmaceutico, pedagogisti, agenti di polizia privata, diplomati universitari in agraria, consulenti di infortunistica, esperti in spettacoli pirotecnici, persino “persone idonee all’ufficio di scrutatore”: agli albori del nuovo millennio nessuno doveva sentirsi escluso dal Gran Galà corporativo e dal suo abituale bagaglio di strutture, stipendiati e vertici di rappresentanza.
Riferimenti al Medioevo
Francesco Maria Amoruso (Pdl) chiede in questi giorni l’istituzione dell’Albo nazionale dei cuochi professionisti ma la stessa bandiera era stata tenuta alta due legislature or sono da una ventina abbondante di deputati di maggioranza e opposizione (tra questi la forzista Gabriella Carlucci e il verde Paolo Cento) che nella relazione introduttiva rievocavano i bei tempi andati: «In passato le professioni, le arti e mestieri erano disciplinati dalle cosiddette ‘corporazioni’ le quali, oltre a tutelare propri rappresentanti, assicuravano ai consumatori capacità e professionalità dei loro assistiti». Perché alla fine per costoro il modello culturale di riferimento resta il Medioevo, quando se non eri iscritto a una corporazione restavi appunto senza arte né parte. Oggi come ieri l’iscrizione a un Ordine o Albo deve quindi far premio sulle capacità professionali del singolo. Molto meglio un incapace col suo bravo pezzo di carta bollata che un lavoratore coscienzioso ma battitore libero: è l’appartenenza a una casta che conferisce prestigio. E i risultati si vedono.
Cappello (Agiconsul): “Basta orticelli burocratici”
I risultati della nostra inchiesta non sorprendono affatto Giuseppe Pennisi, economista e consigliere del Cnel: «I parlamentari depositano queste proposte di legge più per fare un favore a qualche loro elettore che non per intimo convincimento. E comunque si tratta di testi che quasi sempre non iniziano nemmeno il loro iter parlamentare». Quanto alle nuove figure professionali, «spesso al Cnel riceviamo la richiesta formale di un loro inserimento nei nostri elenchi. Ma ci tocca bocciarne in media nove su dieci perché prive dei presupposti minimi per un loro riconoscimento».
Pennisi aggiunge comunque che vedrebbe con gran favore l’eliminazione dello stesso Ordine di giornalisti, «al quale sono peraltro iscritto da molti anni. Manterrei in vita solo quelli che tutelano un fortissimo ed evidente interesse pubblico. Quelli degli architetti e dei medici, ad esempio. Anche se poi capita di leggere di persone senza laurea che hanno per anni hanno lavorato indisturbate in sala operatoria…».
E’ ancora più spietata l’analisi dell’avvocato Riccardo Cappello, presidente di Agiconsul, l’associazione di giuristi e consulenti legali che fa capo a Confindustria: «Una nuova inutile burocrazia nasce nel momento stesso in cui un lavoro, per essere esercitato, deve essere giuridicamente programmato e politicamente protetto. Pur di canalizzare il consenso, i nostri parlamentari non esitano infatti a favorire la creazione di obblighi formali che favoriscono i pochi organizzati a scapito della maggioranza dei non allineati. A nessuno frega niente dei giovani che si avvicinano al lavoro, e si finisce così con il frenare o addirittura impedire il naturale sviluppo delle nuove attività professionali che vengono richieste dal mercato. Di questo passo vorranno regolamentare anche l’attività dei personal shopper, inquadrandola in regole e obblighi contro natura». Gli stessi avvocati sono vittime di questa logica. «Mi spiegate a cosa serve il nostro Ordine? Forse solo a quelli che lo presiedono. Se pur essendo 240mila ogni anno importiamo consulenza legale, significa che l’attuale sistema ci lega le mani per farci meglio picchiare da quelli che vengono da fuori. E questo non perché siamo dei cretini ma perché lo Stato ci impedisce di organizzarci su modelli organizzativi che ormai sono inevitabili in un mondo globalizzato».
Cappello contesta poi che gli Ordini non rappresentino un costo per la collettività. «E’ vero semmai il contrario: per il cittadino sono un invisibile prezzo da pagare. Ad esempio, lo sportello unico delle imprese non funziona da nessuna parte perché sottrarrebbe lavoro ai commercialisti!
Inutile girarci intorno: in Italia ognuno coltiva il proprio orticello e recinta gli spazi per escludere i non garantiti dai benefici della professione».