Non farsi trascinare in una guerra che non abbiamo neppure i mezzi per fare. Sulla Libia, la strategia del nostro Governo è chiara e ampiamente condivisa nel Paese. Tanto che ieri il ministro Gentiloni l’ha ribadita in Parlamento: non è tempo di avventure. Un’altra cosa però è difendere i nostri connazionali nelle situazioni di crisi. Dal caso dei Marò prigionieri in India sino al povero Regeni, torturato in Egitto, le nostre diplomazia e intelligence fanno acqua da troppe parti. Se è vero che l’Italia ha un’invidiabile percentuale di ostaggi in aree di crisi che tornano a casa, è anche vero che in molti casi abbiamo pagato riscatti ai terroristi. Scambi inconfessabili, come molte delle cose che avvengono in Paesi incontrollabili e in stato di guerra. Così dovremmo accontentarci di favolette come quella dei due colleghi di Failla e Piano, liberatisi da soli. O se preferite di Gesù Cristo morto di raffreddore. La drammaticità della telefonata di Failla ci impone invece di sapere di più. Di sapere tutto. A partire da quella voce italiana che si sente accanto al nostro operaio ucciso. L’ennesimo mistero italiano, di cui non sentivamo davvero il bisogno.
L'Editoriale