di Stefano Sansonetti
L’operazione è risultata del tutto indigesta, per usare un eufemismo. Il “blitz” con cui il ministero dell’economia, guidato dal dimissionario Vittorio Grilli, ha confermato parte dei vertici della Cassa Depositi e Prestiti sta provocando una sollevazione parlamentare. Il tutto mentre dall’ultimo bilancio 2012 della società, approvato nei giorni scorsi, viene fuori che il confermato amministratore delegato, Giovanni Gorno Tempini, l’anno scorso ha incassato compensi per la bellezza di 1 milione e 35 mila euro. Ai quali si affiancono i 280 mila euro riconosciuti al presidente Franco Bassanini. La situazione, in queste ore, si va facendo sempre più calda. “Non c’è nulla di personale”, ha premsso ieri a La Notizia Francesco Boccia, già responsabile delle commissioni economiche del Pd, “ma in uno snodo per il paese come quello che stiamo vivendo ci vorrebbe senso dello stato. Non mi pare che sia indice di senso dello stato aver provveduto a nominare il cda della Cassa Depositi in queste condizioni”. Insomma, per Boccia “sarebbe stato opportuno aspettare un nuovo governo, l’unico in grado di avere davanti un orizzonte e di capire quali forze politiche lo sostengono”.
Il fatto è che in gioco c’è quella che al momento potrebbe essere definita la più importante società pubblica italiana, al netto delle aziende quotate. La Cassa, controllata all’80% dal ministero dell’economia e per la parte restante da un consistente gruppo di fondazioni bancarie (diluitesi nel capitale dopo l’operazione di conversione delle azioni), vanta numeri da capogiro. In base al bilancio 2012 appena approvato, infatti, risultano una raccolta postale da 233 miliardi di euro, disponibilità liquide per 139 miliardi, partecipazioni per 30,5 e utili di 2,8, in crescita rispetto ai 2,1 dell’anno precedente. Senza contare i nomi che compaiono nel portafoglio delle partecipazioni: Eni, Terna, Snam, Sace, Simest, Fintecna e il Fondo strategico italiano.
E anche per questo che si sta sviluppando una vera e propria battaglia. “Ho piena stima di Bassanini e di Gorno Tempini”, ha premesso a La Notizia il vicepresidente dei senatori del Pdl, nonché ex ministro dello sviluppo economico, Paolo Romani, “ma non c’è dubbio che una nomina così rilevante, per una società pubblica così importante, sarebbe dovuta passare per un nuovo governo, nella pienezza dei suoi poteri”. L’idea, quindi, è che la stessa pausa di riflessione che si è scelta per il rinnovo di società quotate, come confermato ieri dal governo, avrebbe dovuto fare capolino anche nell’operazione Cdp.
Alla protesta non si sono sottratti i grillini. La capogruppo del M5S a Montecitorio, Roberta Lombardi, ha preso di mira la fissazione per domani (17 aprile) dell’assemblea che ha in programma l’approvazione delle liste per il cda presentate dagli azionisti. Al cui interno risultano confermati Gorno Tempini per il Tesoro e Bassanini per le fondazioni bancarie. Per un’altra deputata del M5S, Federica Daga, sarebbe il caso di “rinviare il rinnovo delle nomine in attesa della formazione del nuovo governo”. Anche perché, per il collega di partito Daniele Pesco, “in regime di prorogatio la Cassa Depositi e Prestiti può lavorare normalmente. Il problema è la trasparenza con cui avverranno le nuove nomine”.
C’è anche chi non vede in tutta la questione forzature. E’ il caso dell’ex sottosegretario Pdl all’economia, Alberto Giorgetti, che conosce bene il mondo di via XX Settembre e delle sue controllate. “Il rinnovo dei vertici della Cdp mi sembra più che altro un segnale di stabilità e certezza”, ha detto ieri, “soprattutto un segnale ai mercati”. Non un blitz, quindi, come invece la pensano grosso modo altri esponenti politici. Di sicuro non sono passate inosservate, con un corollario di malumori vari, le mosse compiute nelle ultime settimane da Gorno Tempini per farsi confermare con l’aiuto dello stesso Grilli e di Giovanni Bazoli, il numero uno del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo a cui l’ad della Cassa è molto legato. Certo, alcuni osservatori fanno notare come, appena entrato in carica, un nuovo governo potrebbe anche far dimissionare il cda rinnovato nel caso in cui non lo gradisse. Ma a quel punto si porrebbe la questione delle buonuscite economiche per i manager rimossi: non il massimo, politicamente, in un momento di fari accesi sui superstipendi pubblici.
@ssansonetti