di Stefano Iannaccone
Un risparmio di circa 300 milioni di euro a portata di mano. Un tesoretto da poter investire in mille modi. Ma che il governo, nonostante i tempi di spending review, non vuole sfruttare. Perché teme di subire una “sconfitta politica” su una norma molto cara al presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Così respinge l’ipotesi di accorpamento del primo turno delle elezioni Comunali di giugno con il referendum anti trivellazioni, promosso da nove Regioni e accolto dalla Corte costituzionale. A pagare il conto sono i cittadini: il referendum, per legge, si dovrà svolgere tra aprile e giugno. E l’organizzazione della macchina elettorale ha un costo. La richiesta di election day è stata avanzata alla Camera dall’intero gruppo di Sinistra italiana (Si), che ha presentato una mozione per impegnare Palazzo Chigi a non sprecare soldi pubblici. “Con 300 milioni di risparmio si potrebbe rifinanziare il fondo degli asili nido cancellato dalla Legge di Stabilità”, dice a La Notizia Arturo Scotto, capogruppo di Si alla Camera. “Inoltre – aggiunge – il tema è di carattere locale, quindi ben si concilia con il voto per le Amministrative”.
LA DIFESA – Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha indicato la linea dell’esecutivo: niente accorpamento del voto a giugno. Nel corso della risposta al question time alla Camera, ha parlato di “difficoltà di natura tecnica e non superabili in via amministrativa”. Ma Serena Pellegrino, deputata di Sinistra Italiana e prima firmataria della mozione, non ci sta. E parte al contrattacco: “Siamo in Parlamento per fare le leggi. Basta farne una per l’election day”. Sulla stessa lunghezza d’onda si è posto l’ex ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, che in una conferenza stampa a Montecitorio ha ribadito: “Per esperienza personale dico che dal punto di vista tecnico si può fare. La verità è che il governo vuole disincentivare la partecipazione”. Ma qual è motivo di tanto ostracismo? Il mancato raggiungimento del quorum necessario (50%+1) a rendere valida la consultazione: l’election day avrebbe ‘il torto’ di favorire l’affluenza. Così i deputati, compresi quelli del gruppo Alternativa Libera-Possibile, sono già al lavoro per mettere a punto un’apposita proposta di legge da discutere in tempi rapidi. Alla battaglia, tuttavia, non ha aderito il Movimento 5 Stelle. “In questo caso servirebbe un fronte trasversale molto ampio. I 300 milioni in gioco, cifra che finora nessuno ha contestato, richiederebbe uno sforzo comune”, evidenzia Pellegrino.
IL QUESITO – Tutto nasce con il decreto Sblocca Italia che ha dato il via libera alle concessioni per cercare petrolio in mare. La legge è stata contestata sin dall’inizio e le Regioni Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise hanno promosso sei quesiti referendari. Il governo è corso ai ripari con la Legge di Stabilità, intervenuta in parte sul tema. La Consulta ha bocciato solo cinque quesiti, approvando quello che chiede ai cittadini di esprimersi “per evitare che i permessi già accordati entro le 12 miglia possano proseguire per tutta la durata della vita utile del giacimento”, si legge sul sito del Movimento No Triv. Per due quesiti, poi, alcune Regioni hanno sollevato il conflitto di attribuzione, su cui deve pronunciarsi di nuovo la Corte costituzionale. Intanto nel Partito democratico c’è chi chiede di evitare lo scontro frontale al referendum e risolvere la cosa in Parlamento. “Meglio fare una legge che intervenga sulle trivellazioni”, ammette Ermete Realacci, deputato del Pd noto per le sue posizioni ambientaliste. “C’è stata un’enfasi eccessiva sulle risorse di petrolio in Italia. Anche i numeri sulle possibilità di lavoro erano discutibili. Spero che il governo provveda ad approvare una nuova norma”, conclude l’esponente dem.
Twitter: @SteI