di Sergio Patti
Uscire dall’angolo. I banchieri italiani, abituati ad essere solo riveriti e ossequiati, stanno mostrando una inadeguatezza disarmante di fronte alla tempesta che si abbatte da settimane sui mercati finanziari. Il contesto dell’economia in generale non aiuta, così come la volatilità delle Borse e il basso prezzo del petrolio. Ma è chiaro come il soel che di problemi ce ne sono anche altri, e il settore bancario è al centro di una immensa speculazione che ha trovato nelle sofferenze dei crediti erogati una bolla perfetta. Il problema, che ancora a fine anno scorso veniva garantito entro limiti fisiologici, improvvisamente sembra essere diventato insostenibile. E con questo pretesto sta andando in scena un attacco ribassista senza precedenti ai nostri istituti di credito, dimostatisi zeppi tanto di crediti spazzatura quanto di manager solo chiacchiere e distintivo. Mentre il Governo non riusciva a farsi accordare in Europa lo scudo della bad bank (che avrebbe quanto meno differito il problema), i suddetti banchieri non avevano predisposto nessun piano B. E persino ora che il Titanic affonda si dimenano, rilasciano dichiarazioni rassicuranti che non rassicurano neppure loro stessi, farneticano di scenari ai quali ieri non volevano neppure pensare. Scenari – che poi sarebbero quel famoso piano B – che portano gli istituti a concentrarsi, per diluire le sofferenze accumulate, abbattere i costi di gestione, presentarsi più forti sui mercati. Su questi matrimoni tra banche, soprattutto tra le Popolari, si è detto e scritto tantissimo, ma poi al momento di fare sul serio non si è mai visto niente. Perché? Per il semplice motivo che due banche hanno due presidenti, due amministratori dlegati e due consigli di amministrazione. Potere da dividere, insomma, mentre in una sola banca tanta gente resta senza poltrona. Così, per gelosie e campanilismi, le fusioni sono rimaste sullo sfondo e correre adesso, sotto la tempesta, è molto più difficile. Le operazioni si stanno quindi incardinando con modalità al limite del dilettantismo.
POLTRONE – Tutti i banchieri hanno paura di una cosa più di ogni altra: essere costretti – dalla politica, dai poteri forti, da chissà quale massoneria – a sposare la “racchia” del villaggio, cioé il Monte dei Paschi di Siena. In teoria ai prezzi attuali l’istituto è un affarone. Ma se si guarda la qualità del corredo di nozze, c’è da mettersi paura. Allora si cerca di giocare d’anticipo, come ha fatto il numero uno del Banco Popolare, Pierfrancesco Saviotti, annunciando ai dipendenti le nozze con la Popolare di Milano. L’operazione però non è ancora chiusa e altri istituti – sempre per evitare di doversi “maritare” a Siena – stanno ipotizzando una cerimonia simile. E in tempi di dibattito sulle unioni gay c’è pure chi sogna un “fattaccio” a tre: Banco Popolare, Bpm e Ubi Banca. Alla stessa finestra, inoltre, stanno la Bper e i due campioni Unicredit e Banca Intesa, anche queste terrorizzate di dover fare l’ennesima operazione di sistema (o matrimonio riparatore) assorbendo il Monte Paschi. In teoria c’è poi un altro scenario: l’ingresso in Italia di qualche gruppo estero. L’ipotesi non può essere scartata, anche se per palazzo Chigi sarebbe l’ennesima prova della resa del sistema Italia. In tutto questo i banchieri stanno all’angolo come pugili suonati. Sembravano campioni, ma erano co….