di Carmine Gazzanni
Hala ha solo 23 anni. È partita da Aleppo, in Siria, per sfuggire alle barbarie della guerra e dell’Isis. Mai avrebbe immaginato, però, che le sevizie cui era sfuggita, le avrebbe incontrate lungo il suo viaggio. “In un albergo della Turchia – racconta Hala – un siriano al servizio dei trafficanti mi ha proposto di passare la notte con lui, così avrei pagato di meno o addirittura avrei viaggiato gratis. Ho rifiutato, era una cosa disgustosa. Lo stesso è capitato a tutte in Giordania”. Questa è solo una delle tante storie raccolte da Amnesty International, storie di donne e ragazze rifugiate che parlano di violenze, aggressioni, sfruttamento e molestie sessuali in ogni fase del loro viaggio, anche all’interno del territorio europeo.
VERO E PROPRIO PREZZARIO – Ma il nostro viaggio parte proprio dai territori sotto il dominio del Daesh. Sebbene poco se ne parli, infatti, quello “umano” è un mercato enorme per il califfato. Non è un caso che nello scorso gennaio sia stato pubblicato un vero e proprio bilancio, con tanto di entrate – tra petrolio e confische dei beni di rivali e prigionieri – e uscite, quasi totalmente assorbite dalle spese militari. Accanto alle voci pubbliche, però, ci sono altre entrate su cui l’Isis può contare. Entrate che si tengono nascoste. Come appunto il mercato di donne e bambine. Un mercato enorme: secondo un rapporto dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) parliamo di oltre 25 mila donne e bambini rapiti, stuprati e poi venduti come schiavi. Con un vero e proprio prezzario. A raccontarlo è stata Zainab Hawa Bangura, rappresentante Onu per le violenze sessuali nei conflitti. I bambini (femmine e maschi, dai nove anni in giù) valgono 200 mila dinari, l’equivalente di circa 150 dollari. Le bambine e le ragazze dai 10 ai 20 anni vengono vendute per 150 mila dinari (circa 120 dollari), mentre le donne tra i 20 e i 30 anni costano sui 100 mila dinari (80 dollari). E se qualcuno dovesse ribellarsi? Il racconto è agghiacciante: “Mi hanno raccontato di ragazze ‘ripulite’ con un getto di petrolio, a cui veniva appiccato il fuoco se si rifiutavano di fare ciò che ordinavano i loro cosiddetti padroni”.
LA CIVILE EUROPA – Ma le violenze avvengono anche, come detto, nella “civile” Europa. Perché se Hala ha potuto rifiutare, non è stato così per tante. Nahla ha 20 anni. Anche lei è fuggita dalla Siria. La sua testimonianza è scioccante: “Non ho mai avuto la possibilità di dormire al chiuso, avevo troppa paura che qualcuno mi toccasse. Le tende non erano separate e ho assistito a scene di violenza… Mi sentivo più sicura quando ci muovevamo, soprattutto sui pullman, solo lì sopra riuscivo a chiudere gli occhi e ad addormentarmi. Nei campi è facilissimo essere toccate, non si può denunciare e alla fine ognuna vuole evitare di creare problemi che blocchino il viaggio”. Ergo: molto meglio subire piuttosto che opporsi. E non solo quando davanti c’è il trafficante, ma anche quando ci sono coloro che dovrebbero accogliere, ospitare, proteggere.
L’organizzazione per i diritti umani non a casa chiama in causa anche i governi e le agenzie umanitarie che non forniscono la minima protezione alle donne in fuga da Siria e Iraq. La denuncia è scioccante: “Alcune donne hanno subito violenza da parte di altri rifugiati o da parte di agenti di polizia, specialmente nei momento in cui il sovraffollamento dei centri faceva salire la tensione richiedendo l’intervento delle forze di sicurezza”. Rania ha 19 anni. Ed è icninta: “La polizia ungherese – racconta – ci ha trasferiti […] Era pieno di gabbie e non passava aria. Eravamo come in cella. Ci siamo rimasti per due giorni. Ci davano due pasti al giorno. I gabinetti erano peggio degli altri, era come se volessero lasciarli in quelle condizioni per farci soffrire”. Ma ecco che arriva il secondo giorno, durante il quale “la polizia ha picchiato una siriana di Aleppo, solo perché aveva pregato di lasciarla andare via. Sua sorella ha provato a difenderla, lei parla inglese. Ma le hanno detto che se non stava zitta avrebbero picchiato anche lei. La stessa cosa è successa a un’iraniana, che aveva chiesto un po’ di cibo in più per i suoi figli”. Surreale anche il racconto di Maryan, di soli 16 anni: “Eravamo in Grecia. Abbiamo cominciato a piangere e a urlare, così è arrivata la polizia che ha manganellato tutti quanti, anche in testa. Io sono state colpita su un braccio. Picchiavano anche i più piccoli. Ho avuto un capogiro e sono finita a terra, con le persone che mi cadevano sopra”. E intanto i ministri di questi stessi Paesi, seduti al caldo in una grande tavola rotonda, discorrono se convenga o meno chiudere le frontiere. Gentilmente e dandosi del “lei”. Perchè così si fa nella “civile” Europa.
Tw: @CarmineGazzanni