di Monica Setta
“Altro che larghe intese o governo tecnico, se fossi nei panni del prossimo presidente della Repubblica darei alla persona indicata da Beppe Grillo l’incarico di formare il governo. Inutile girarci intorno, ė il Movimento 5 stelle che ha vinto le elezioni, non il Pd”. La proposta choc arriva da Massimo Carraro, classe 1959, avvocato e imprenditore di grande successo dalla fine degli anni 80 quando rileva la Morellato Spa, azienda produttrice di cinturini per orologi e la fa diventare uno dei leader mondiali del settore. Ma Carraro non è “solo” un industriale con svariate cariche nel salotto buono di viale dell’Astronomia (è stato vicepresidente della Confindustria Veneto): è stato eletto parlamentare europeo nelle liste degli indipendenti dei Ds nel 1999 e nel 2005 ha corso per la presidenza della Regione cedendo, pur con quasi il 45% dei voti, lo scettro al berlusconiano Giancarlo Galan. L’intervista con La Notizia parte dunque da questa proposta inusuale nel mondo imprenditoriale che, fatta eccezione per pochi nomi come Cesare Romiti, vede Grillo come il massimo artefice di un’instabilità politica e forse soprattutto sociale.
Così secondo lei finora si ė perso solo tempo inutilmente: già qualche giorno dopo il voto si poteva dare l’incarico a Grillo…
“Credo che la mia affermazione sia più naturale e realistica di quanto possa apparire a prima vista. Grillo ha vinto le elezioni e per capire se ha la stoffa per trasformare il suo movimento in una vera forza politica c’era un’unica strada: metterlo davanti alle sue responsabilità. Che fosse lui ad indicare il premier. A questo punto ci sarebbero state due ipotesi. O Grillo rischiava di tirarsi indietro dimostrando che la sua forza elettorale ha i piedi d’argilla oppure – a sorpresa – avrebbe potuto dimostrare la sua capacita. In ogni caso si sarebbe accorto una volta per tutte che i problemi del nostro Paese non sono soltanto legati alla drastica riduzione dei costi della politica. Lei pensa davvero che il problema del lavoro o del fisco vengano automaticamente risolti se gli onorevoli sono costretti a pagare più caro il caffè alla bouvette ?”.
Interessante provocazione intellettuale, me lo dica lei allora come sta il sistema paese e quali sono le misure urgenti che il nuovo governo deve mettere in campo per l’economia.
“Glielo dico subito, abbiamo un problema enorme di competitività delle imprese – si difendono solo quelle che come noi hanno spinto in tempi non sospetti sull’internazionalizzazione – mentre il resto è in gravissima crisi, in’asfissia finanziaria e siamo collocati come Italia in un’area euro dove conta solo il nord Europa. Peggio di tutto è che non possiamo farci niente. Chi sostiene che si può uscire dall’euro dice un’eresia. Ormai nel nostro Paese non hanno più soldi neanche le banche. Proviamo a scommettere quante resisteranno? Io dico un quarto, non di più. E la metà delle imprese che sono rimaste sul mercato interno rischiano di scomparire. Ma il vero tema è la riforma del lavoro. Monti ci ha provato purtroppo con la Fornero, ma le cose sono andate male”.
Elsa Fornero ha fatto sia la riforma delle pensioni che quella del lavoro. Non è abbastanza?
“La riforma delle pensioni va bene, è seria. Quella del lavoro è una falsa riforma. Bisogna abbassare le tasse che gravano sulle imprese e sul reddito dei lavoratori, ma prima ancora ridurre i vincoli, la tutela. Nel resto del mondo il livello di tutela del cosiddetto posto fisso cresce con l’anzianità, cioè diventa una conquista del lavoratore. Da noi invece esistono da sempre figli e figliastri. O precari a vita oppure iper garantiti nel famoso posto fisso. Nella terra di mezzo, invece, ci sarebbe spazio per convincere gli imprenditori ad assumere con una serie di incentivi non solo fiscali. È qui che bisogna agire. D’altronde ieri anche le commissioni dei saggi nominate dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano hanno detto che bisogna ripartire dalla centralità della questione lavoro. Se il prossimo governo sarà in grado di affrontare e sciogliere questo nodo strutturale, il Paese potrebbe riprendere a camminare”.
Eppure molti sostengono che i nostri asset sono ancora largamente positivi…
“Giustissimo. La verità ė che noi abbiamo problemi seri con l’economia reale, non con la finanza. Registriamo una continua, lenta ma progressiva, fuga dei capitali all’estero, le imprese che possono spostano la produzione dove conviene di più e il Paese, oppresso dal drastico calo del potere d’acquisto dei salari e dunque dei consumi, si impoverisce. Diventa ogni giorno sempre più fragile, meno competitivo con il resto del mondo. La speranza è che dopo il nuovo presidente della Repubblica si riesca a fare un governo. Il vero tema è la sfiducia nella politica. Una malattia destinata a fare danni molto più gravi di quanto si era inizialmente calcolato”.
Dopo Napolitano, Berlusconi propone un Pd al Quirinale. Lei che conosce bene la sinistra ha qualche nome da proporre?
“Non faccio nomi, dico però che si deve trattare di una personalità con standing internazionale capace di spendersi nel mondo per rafforzare l’immagine ormai distrutta del nostro paese. La politica è ai minimi termini. Il Pd registra il fallimento del tentativo del segretario Pier Luigi Bersani. L’oligarchia cerca di difendersi, ma il futuro – forse anche il presente – sarà Matteo Renzi. Non sarei mai stato favorevole ad un esecutivo di larghe intese che mettesse insieme due partiti vecchi Pd e Pdl: si sarebbero eliminati a vicenda sotto il peso di ripetuti “veti incrociati”. La politica del governo sarebbe stata, nei fatti, paralizzata. Bisogna decidersi a cambiare. Proseguire nell’ordinaria amministrazione non ci salverà perciò è necessario uno “scatto” ulteriore”.