di Stefano Sansonetti
Il perimetro si sta allargando sempre di più. E in un certo senso c’era da aspettarselo, vista la ghiotta opportunità che la legge stessa ha concesso di sottrarsi all’ormai sin troppo famoso tetto di 240 mila euro agli stipendi pubblici. L’ultima novità in ordine di tempo è che mentre l’ultima legge di Stabilità minaccia di stringere ulteriormente le maglie di questo tetto, in realtà altre società pubbliche si organizzano per “sfuggire” alla sua applicazione. Il modo, proprio in virtù della copertura normativa, è ormai noto a tutti: emettere obbligazioni. Gli esempi si sprecano e continuano. Qualcosa del genere, infatti, sembra sia in cantiere dalle parti di Invitalia, la società del Tesoro per l’attrazione degli investimenti. A quanto pare l’azienda pubblica sta esplorando la possibilità di emettere obbligazioni nell’ambito dell’operazione Bagnoli.
LA STRATEGIA
Sul punto va ricordato che la scorsa estate il Governo, guidato dal premier Matteo Renzi, ha scelto proprio Invitalia come “soggetto attuatore” della bonifica di Bagnoli, l’area industriale ex Italsider di Napoli. La storia è tristemente nota, dopo anni di soldi pubblici buttati per bonifiche mai fatte e inchieste giudiziarie. Adesso la patata bollente è nelle mani del Governo. Secondo le stime circolate la scorsa estate il recupero dell’area potrebbe valere tra i 200 e i 300 milioni. Come fare a reperire le risorse? Difficile rispondere in questo momento, visto che un vero e proprio piano finanziario ancora non c’è. Ma dal ministero dello Sviluppo economico, che insieme a quelli dell’Ambiente e delle Infrastrutture è nella cabina di regia dell’operazione, filtra che un’ipotesi sul piatto è quella di fare emettere obbligazioni proprio a Invitalia, nel luglio scorso direttamente coinvolta dal Governo. La conseguenza ultima del piano, neanche a dirlo, sarebbe quella di sottrarre i vertici di Invitalia dall’applicazione del tetto stipendiale dei 240 mila euro. Le norme sul tema, sin dai tempi dal Governo di Enrico Letta, infatti dicono che dal tetto sono sottratte le società pubbliche quotate o quelle non quotate che però emettono strumenti finanziari su mercati regolamentati. Ovvero i bond. Soluzione, quest’ultima, che è già stata individuata da Poste, Ferrovie, Cassa Depositi, Rai ed Enav. Fonti di Invitalia smentiscono che sia allo studio un’emissione di bond. Ma al ministero dello Sviluppo la pensano diversamente. Del resto, salvo sorprese, il beneficio della sottrazione al tetto dei 240 mila euro toccherebbe ai futuri vertici di Invitalia, visto che l’attuale amministratore delegato, Domenico Arcuri, dopo tre mandati sulla tolda di comando dell’azienda pubblica dovrebbe lasciare la prossima primavera. Una cosa è certa: l’ormai il famoso tetto introdotto da Renzi si applica a un numero sempre più basso di manager pubblici. E non trova quasi mai applicazione quando alcuni di questi manager sono vicini al premier.
GLI SVILUPPI
Tra l’altro tutto questo rischia di andare a cozzare fragorosamente con l’ultima novità introdotta dalla legge di Stabilità. Un comma dedicato alle società pubbliche dice che un decreto del ministero del Tesoro potrà dividerle in cinque fasce a seconda delle dimensioni e del fatturato (attualmente sono tre). Per ciascuna fascia saranno individuati singoli tetti di stipendio, naturalmente a scendere dai 240 mila. Per la prima volta questo schema varrà anche per dirigenti e dipendenti delle aziende pubbliche. Con il rischio che ci sia una sollevazione, soprattutto da parte di quei dipendenti che dovessero scoprire di perderci. La realtà è solo una: il tetto stipendiale dei 240 mila euro, introdotto anche cedendo a un po’ di demagogia, si sta rivelando un autentico flop.
Twitter: @SSansonetti