Una montagna di ricorsi pendenti, una serie di violazioni imputabili nella maggior parte dei casi a ritardi del governo italiano nell’adeguarsi a norme europee e una spesa per risarcimenti colossale. È questo il triste bilancio che emerge dalla relazione consegnata al Parlamento italiano e riguardante lo “stato di esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato italiano”. Insomma, in Italia il rispetto dei diritti dell’uomo resta un optional. Difficile dire il contrario se si legge un dato su tutti: contro il nostro Stato, sono 10.100 i ricorsi ancora pendenti a Strasburgo. Siamo secondi solo all’Ucraina che, nel 2014, ha raggiunto quota 13.650. In altre parole, alla Corte europea ci sono più pratiche riguardanti l’Italia che ricorsi sulla violazione dei diritti dell’uomo contro Paesi come la Russia (10 mila tondi) o la Turchia (9.500).
DAGLI OMOSESSUALI AL G8 – Per carità: occorre precisare che rispetto al 2013, nell’anno passato c’è stato un importante calo dei ricorsi che sono passati da oltre 16 mila a, come detto, poco più di 10 mila. Eppure il dato resta clamoroso. Soprattutto per le materie oggetto delle procedure. Tra i casi ricordati dalla Corte, ad esempio, spuntano ricorsi di stringente attualità, dalla “sperimentazione umana su embrioni umani” ai diritti delle coppie omosessuali, fino al caso di due coniugi che, non potendo avere bambini, hanno “affittato” una madre surrogata in Russia che ha partorito loro un bambino e, in linea con la legge di Mosca, sono stati riconosciuti genitori del neonato. Un riconoscimento che, però, non è avvenuto al loro rientro in Italia. Qui, infatti, “ai ricorrenti è stata rifiutata la registrazione della nascita del minore nel Comune di residenza “. Non mancano, ancora, casi che ci portiamo avanti da tempo. Su tutti non si può non ricordare il ricorso presentato da 31 soggetti, tra cittadini italiani e stranieri, arrestati dopo i fatti della scuola Diaz e detenuti nella caserma di Bolzaneto “dove i ricorrenti hanno lamentato di essere stati sottoposti a tortura e a trattamenti disumani e degradanti”. Nonostante svariate sollecitazioni e nonostante una condanna per violazione dei diritti umani, l’Italia ancora non introduce il reato di tortura nel codice penale. Ma il punto è anche un altro. Sulla questione, infatti, potrebbero presto esserci ulteriori novità, “non ancora comunicati al Governo italiano, che aggravano il quadro delle possibili, future condanne a carico dell’Italia”, scrive la Corte. Tanto che “è all’attenzione delle competenti amministrazioni l’ipotesi di una soluzione bonaria del contenzioso, per scongiurare il rischio di ulteriore condanna per violazione del divieto di tortura”.
LA SPESA – Insomma, meglio pagare meno piuttosto che pagare molto di più in seguito a una condanna definitiva. Anche perché il nostro Stato già ora sborsa non poco a causa delle procedure aperte nei suoi confronti per violazione dei diritti dell’uomo. Prendiamo i casi di “equa soddisfazione”, ovvero i casi in cui – secondo quanto stabilisce l’art. 41 della Convenzione europea – la Corte ritiene sussistente la violazione del Trattato e, poiché lo Stato non prevede nel proprio diritto interno gli strumenti per una totale riparazione del danno, accorda alla parte lesa un risarcimento. Ebbene, nel solo 2014 il nostro Stato ha sborsato oltre 29 milioni (erano 71 nel 2013) che si aggiungono ai 5 milioni spesi “per l’esecuzione delle sentenze”. Una cifra decisamente alta, se si tiene conto che l’Italia, per lo stesso tipo di procedure, ha incassato l’anno scorso solo 1,6 milioni.
SENTENZE IN AUMENTO – Arriviamo infine al capitolo delle sentenze per violazione. Sono ben 44, in aumento rispetto al 2013. E anche in questo caso, le ragioni sono tra le più varie: dalla retroattività delle leggi e, dunque, l’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia (11 casi di violazione) alla irragionevole durata dei processi (4), dalle 7 sentenze che hanno accertato “trattamenti disumani e degradanti” fino alla violazione dell’articolo 14, “divieto di discriminazione”.
Tw: @CarmineGazzanni