Fretta, c’è fretta. Occhi puntati sull’importantissima riforma costituzionale. Non c’è urgenza più impellente che approvare il (finto) taglio di Palazzo Madama in quest’istante. Tanto che basta andare a prendere il calendario sul sito del Senato per rendersi conto che è tutto, totalmente bloccato. Unioni civili: nemmeno a parlarne. Intercettazioni: figuriamoci. Tutto può attendere, in nome della riforma su cui il Governo di Matteo Renzi si gioca buona parte della sua credibilità.
LE VERE URGENZE
Eppure c’è sempre spazio per aprire fronti di discussione su altri disegni, a patto che – ovviamente – la tematica sia urgente. Non si dica, per carità, che i senatori siano pigri. Mai. Ed ecco allora che proprio venerdì scorso, dopo le acerrime polemiche del prode Renzi che, contro tutto e tutti, ha portato di peso il ddl Boschi in Aula, si è riusciti in men che non si dica a calendarizzare un altro disegno di legge e a far partire l’esame in commissione Affari Costituzionali. Urgenza clamorosa, avrà allora pensato qualcuno. Andiamo a vedere. Il progetto di legge è il numero 2054: “Modifiche all’articolo 9 della legge 6 luglio 2012, n. 96, concernenti la Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici”. Ecco svelato l’arcano: parliamo del progetto di legge che prevede una sanatoria per sbloccare le erogazioni ai partiti per gli anni 2013-2014, congelate in un primo momento per l’impossibilità della Commissione di garanzia di rispettare i tempi della verifica dei bilanci delle varie formazioni. Ed ecco spiegato perché è stato calendarizzato dopo soli sette giorni dall’arrivo a Palazzo Madama. Repetita iuvant: sette giorni. Per la stessa riforma costituzionale, sono passati ben sette mese da quando è approdata al Senato (era il lontano 11 marzo). Giusto per capire quali siano le reali priorità.
LEGGE E COMMISSIONE
Ma, a questo punto, capiamo meglio di cosa stiamo parlando. Come qualcuno ricorderà, l’ultimo atto del governo di Enrico Letta ha previsto il taglio dei rimborsi elettorali, sostituiti da altri meccanismi (come il 2 per 1000) di contribuzione volontaria. All’interno della legge si prevede anche l’istituzione, appunto, di una Commissione di garanzia che, dopo aver controllato i bilanci di ogni singolo partito, danno il loro placet per l’assegnazione dei fondi. Già, perché il taglio di cui abbiamo parlato entrerà a pieno regime solo a partire dal 2017. Fino ad allora i soldi ancora verranno assegnati, anche se in progressiva riduzione.
CHI CI GUADAGNA
Ed ecco il punto. Esattamente con i rimborsi di quegli anni (2013-2014) per cui non ci sarà alcun controllo e dunque i soldi verranno assegnati liberamente, i partiti si ripagheranno tutte le spese sostenute in campagna elettorale, assicurandosi anche un lauto guadagno. Basta riprendere in mano una relazione di alcuni mesi fa della Corte dei Conti, riguardante i “consuntivi delle spese e relative fonti di finanziamento riguardanti le formazioni politiche che hanno sostenuto la campagna elettorale per il rinnovo della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica del 24 e 25 febbraio 2013”. Ed ecco che scopriamo che, ad esempio, il Pd ha speso per le politiche circa 10 milioni, ma, tra il 2013 e il 2014, senza il minimo controllo del bilancio, gli verranno versati 16, 5 milioni di euro. Stesso discorso anche per l’allora Pdl che ha speso in quella campagna elettorale circa 12 milioni e ora, grazie alla sanatoria, ne incasserà senza alcuna verifica del bilancio oltre 13. E così anche i partiti minori. Dall’Udc a Sel fino a Scelta Civica. Nell’ordine, il primo riceverà per il biennio della sanatoria 500 mila euro circa; il secondo 1,4 milioni; il terzo 2,3. Tutto, ovviamente, derogando alla legge che, invece, avrebbe previsto fondi solo dopo il controllo della Commissione. Beh, se non è urgenza questa.
Tw: @CarmineGazzanni