di Astrid Nausicaa Maragò
Assunzioni a tempo indeterminato all’interno delle aziende ospedaliere, contratti part time, consulenze esterne e poi ancora convenzioni con le diocesi: la presenza degli “assistenti religiosi” nelle corsie degli ospedali assume diverse forme, ma sui costi di questo servizio, che va a incidere di fatto sulle tasche dei contribuenti non c’è abbastanza chiarezza e trasparenza. Accanto ai servizi prestati da molte associazioni a titolo gratuito, si trovano infatti situazioni di assistenza di questo tipo pagate a caro prezzo dalle aziende ospedaliere.
Il servizio offerto
Gli assistenti religiosi svolgono diverse mansioni nelle corsie degli ospedali, compiti dei quali non si contesta la necessità e l’importanza ricoperta, e che vanno dal supporto spirituale per i degenti, allo svolgimento di funzioni religiose nelle cappelle.
La materia è regolata dalla legge 833/78 che disciplina il Servizio Sanitario Nazionale, e che all’articolo 38 prevede in particolare che presso le strutture di ricovero l’assistenza religiosa deve essere assicurata nel rispetto della volontà e della libertà di coscienza dei pazienti. La norma in questione stabilisce inoltre che tale servizio deve essere regolato da specifiche intese stipulate tra gli enti locali, le aziende sanitarie e le Conferenze episcopali (o corrispondenti autorità per i culti diversi dal cattolico) competenti per territorio. Ma nulla di preciso dice, la legge, sui compensi corrisposti dal Servizio Sanitario Nazionale a queste figure.
I costi sproporzionati
Tredici Regioni hanno stipulato al momento delle intese con i vescovi locali, ma sugli oneri regna ancora frammentarietà e incertezza. Ci si può fare un’idea consultando i dati contenuti nell’Anagrafe delle Prestazioni del Ministero della Funzione Pubblica. All’azienda Ospedaliera G.Salvini di Garbagnate (MI), ad esempio, sono stati spesi 11.129,76 euro per prestazioni di “assistenza sociale religiosa” nel solo semestre gennaio-giugno 2011. All’Azienda Sanitaria “Ospedali Riuniti di Bergamo”, è stata prevista una spesa per un contratto di co.co.co. dell’importo di 27.500 euro (decorrente dal 30/12/2010 al 31/08/2011) per un assistente religioso. E un altro ancora, sempre per lo stesso periodo di tempo, sotto la voce “prestazioni di assistenza sociale” da ben 21.500 euro. E altri 25.000 euro sono stati previsti dall’Azienda Ospedaliera G.Pini di Milano al 01/07/2010, mentre all’Ospedale “di Circolo” di Melegnano sono diverse le prestazioni retribuite, tra i 5000 e gli 8000 euro circa, solo nel primo semestre 2011.
Il paradosso
In altre strutture le spese sono più contenute, ma comunque sostanziose: in particolare non si comprende il motivo per il quale un sacerdote finisca per essere remunerato più di uno psicologo, o di un giovane medico. Alle spese per il personale religioso vanno poi sommati i costi del mantenimento dei locali adibiti alle funzioni, e gli alloggi all’interno delle strutture.
I bilanci delle aziende ospedaliere sono in rosso, ma si continua a spendere per ministri e luoghi di culto piuttosto che per attrezzature, personale infermieristico e medici, che sono costretti a fare i conti con la spendig review.
Il sistema funzionerebbe in modo più virtuoso se gli assistenti religiosi prestassero il loro supporto a titolo di volontariato, come accade per molte altre organizzazioni caritatevoli, piuttosto che percepire uno stipendio pagato con i soldi dei contribuenti.
@astridnausicaa