di Monica Tagliapietra
Una strage dietro l’altra, dalla Libia all’Iraq le milizie dello Stato islamico continuano a tenere la tensione altissima. Il fronte più caldo resta in quella che è stata definita la battaglia di Sirte, la città dell’ex raìs Muammar Gheddafi, dove sono in corso bombardamenti indiscriminati per piegare la resistenza di centinaia di civili e delle fazioni salafite che si oppongono al controllo del califfato. Gli scontri più duri si svolge attorno alla zona portuale, persa e riconquistata a turno dai due fronti. Decine i morti, soprattutto civili costretti a imbracciare le armi per difendersi da quella che è stata definita una pulizia etnica delle milizie di al-Baghdadi nei loro confronti. “Nella città di Sirte i civili sono vittime di un progetto di sterminio di massa perpetrato dall’Is che sta bombardando la città in modo indiscriminato”, denuncia su Twitter il Comitato nazionale per la difesa dei diritti umani, un’organizzazione non governativa di attivisti libici.
L’EREDITÀ DI GHEDDAFI
Il controllo di Sirte assume un ruolo strategico anche nella disputa per il controllo del Paese tra i due governi attualmente insediati in Libia: da una parte l’Esecutivo di Tripoli e dall’altro quello di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale.
A guidare quest’ultimo è il premier Abdullah Al Thinni, dato come dimissionario nei giorni scorsi. Ieri un’agenzia di stampa cinese ha però smentito che Al Thinni si sia dimesso. Di sangue però se ne è versato anche in Iraq, nella capitale Bagdad, dove un attentato kamikaze nell’affollatissimo mercato ha provocato oltre 70 morti. Più difficile invece stabilire una contabilità delle vittime in Siria per i bombardamenti dei caccia F-16 americani che da tre giorni hanno cominciato ad alzarsi in volo dalle basi aeree messe a disposizione dalla Turchia. Il Pentagono non ha fornito dettagli sugli obiettivi, limitandosi a confermare che un numero non specificato di bersagli è stato colpiti. L’apertura delle basi turche per effettuare bombardamenti contro le postazioni dello Stato islamico sta rendendo più veloci le missioni della coalizione Combined Joint Task Force, guidata dagli Stati Uniti.
EGITTO NEL MIRINO
La superiorità nei cieli serve però a poco senza alcun contrasto da terra. A combattere l’Isis sul territorio sono infatti solo le disordinate milizie curde, che devono anche guardarsi dagli attacchi del fuoco amico (ma non troppo) degli aerei di Ankara. E questo mentre la strategia del Califfo continua ad allargare l’area del conflitto, puntando sempre più decisamente all’Egitto. La decapitazione dell’ostaggio croato Tomislav Salopek mercoledì scorso certifica la presenza di cellule fondamentaliste anche nel Paese del faraone al-Sisi. Salopek è stato rapito infatti nel Sinai da milizie legate allo Stato islamico, con lo scopo di rovinare la vetrina internazionale del Governo del Cairo per l’apertura del secondo canale di Suez. La polveriera, insomma, è sempre più esplosiva.