di Carola Olmi
Paul Getty diceva che per vincere a colpo sicuro c’è un modo solo: comprare un casinò. In Italia però si è trovata un’altra soluzione: comprarsi la politica. A fare il colpo del secolo è sempre lo stesso giocatore, quella Lottomatica che detiene da 22 anni il monopolio del gioco del Lotto. Mica bruscolini: parliamo di 400 milioni di aggio all’anno su un totale di circa sei miliardi e mezzo giocati. Una imponente tassa sulla povertà che incredibilmente fa guadagnare più il concessionario che lo Stato. Come documenttao dalla Notizia in numerose inchieste facilmente consultabili sul sito www.lanotiaziagiornale.it le condizioni poste nell’ultima gara vinta nel 2006 proprio dal gruppo controllato dalla De Agostini erano infatti estremamente vantaggiose per il gestore. Scaduto il termine adesso però c’è da rifare la gara, alla quale in teoria dovrebbero partecipare anche altri gruppi del settore italiani ed esteri, a partire dalla Sisal.
PROROGHE GENEROSE
Non soddisfatta di aver prolungato la concessione a detta di molti illecitamente, ecco che Lottomatica mischia le carte tenendo come al solito per se tutti gli assi. Ma perché la vecchia gara era di fatto non più valida? Perché lo Stato aveva assegnato il Lotto a un gruppo italiano, come era Lottomatica nel 2006, mentre la stessa società l’anno scorso ha cambiato veste, è diventata Igt e si è portata la cassa all’estero. Vista l’evidente possibilità di rinegoziare i magri incassi al Ministero del Tesoro avrebbero dovuto pretendere di fare subito una nuova gara, ma il gruppo si blindò con uno stuolo senza precedenti di lobbisti e incredibilmente non accadde niente. Anzi, alla prima occasione il Governo penalizzò i giocatori ma non il potente concessionario. La beffa arrivò nell’ultima legge di stabilità dove fu abbassato di un miliardo il pay out dei gratta e vinci, altra lotteria sempre affidata a Lottomatica. In sostanza lo Stato incassava di più, ma solo perché pagavano come di prassi i giocatori. Per riuscire in questa impresa Lottomatica/Igt arruolò tra i suoi lobbisti persino quel Giuliano Frosini che era stato direttore della Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema. L’uomo dei soldi, in sostanza. Un super collettore delle donazioni private alla politica, oggi messo da Renzi persino nel Cda delle Ferrovie.
LA LOBBY PAGA
La Notizia denunciò la gravità del portatore di interessi di una società privata che contratta con gli esponenti di un Governo per i quali in passato ha raccolto fondi. Anche per questo il sottosegretario Paola De Micheli correttamente rinunciò alla delega ai giochi rimasta al collega Pier Paolo Baretta. La tela però continuava ad essere tessuta fino alla predisposizione del nuovo bando di gara. Un vestito tagliato su misura guarda caso sempre per Lottomatica. Con una decisione che dovrebbe far saltare sulla sedia l’Antitrust, il Ministero dell’Economia ha infatti previsto una cauzione di 700 milioni per partecipare alla gara che assegna la gestione del Lotto. E chi ha oggi una tale disponibilità immediata? Non certo Sisal o le più piccole Sisal, Snai, Intralot e compagnia cantando.
Dunque Lottomatica si avviava a vincere facile. Come sempre. In un Paese dove la magistratura insegue i ladri di polli e non si accorge di partite che valgono miliardi, nessuno però aveva messo in conto che dal polveroso Consiglio di Stato potesse arrivare uno stop. Come rivelato da Giorgio Meletti ieri sul Fatto Quotidiano, a spiegare che la gara dal valore di 3,5 miliardi in 9 anni esclude ogni concorrenza è stato l’ex direttore dei Servizi segreti (Sismi) Nicolò Pollari, oggi appunto consigliere di Stato. Una mossa, la sua, più pericolosa del contrasto ai terroristi. Infatti dal Tesoro, dove in teoria si dovrebbero fare le ore piccole per riempire le casse pubbliche, invece di ringraziare hanno eretto un muro, invitando il Consiglio di Stato – il cui parere non è vincolante – a farsi i fatti propri. Con una situazione quanto meno sgradevole: chi dovrebbe essere la controparte pubblica di un concorrente privato sembra spudoratamente fare il tifo per quest’ultimo.