di Stefano Sansonetti
Negli ambienti delle fondazioni bancarie, soprattutto dopo il blitz governativo sui vertici della Cassa Depositi e Prestiti, qualche coscienza critica sta ponendo una domanda tanto semplice quanto dirompente: a che cosa serve ormai l’Acri, l’associazione guidata da 15 anni da Giuseppe Guzzetti che sulla carta dovrebbe rappresentare 88 enti di origine bancaria? Inutile girarci troppo intorno. In Italia sono rimaste solo poche grandi fondazioni a voler continuare a fare il bello e il cattivo tempo nel capitale delle banche. In più la vicenda Cassa Depositi e Prestiti, di cui 64 enti sono azionisti con il 18,4%, ha fornito l’ultima prova di come abbiano ormai le ossa rotte. Insomma, può rimanere in piedi un’Acri che si limita a rappresentare solo gli interessi delle fondazioni che vogliono a tutti i costi resistere nell’intreccio politico-finanziario?
I NUMERI
Se si fa un’analisi delle partecipazioni rilevanti negli istituti di credito quotati ci si rende conto che il grosso del “movimento” è rappresentato da una decina di fondazioni. Che si riducono a 6 se si considerano le partecipazioni nelle banche più grandi. Per esempio c’è la Compagnia Sanpaolo, presieduta da Luca Remmert, che detiene il 9,8% in Intesa. Poi c’è la fondazione Cariplo dello stesso Guzzetti, che nel medesimo istituto vanta un 4,6%, seguito da un 4,1% della Fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo, guidata da Antonio Finotti, e da un 3,3% dell’Ente Cassa di risparmio di Firenze, presieduta dal renzianissimo Umberto Tombari. In Unicredit ci sono la Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, dell’intramontabile Paolo Biasi, col 3,5%, e la Fondazione Cassa di risparmio di Torino, guidata dal notaio Antonio Maria Marocco, con il 2,5. A seguire abbiano le poche altre “resistenti”: la Fondazione C.R. di Cuneo (2,2% in Ubi Banca), la Fondazione Banco di Sardegna (48,7% del Banco di Sardegna), la Fondazione C.R. di Lucca (2,8% del Banco Popolare), la Fondazione C.R. di Bologna (2,5% di Mediobanca) e la Fondazione C.R. di Trento e Rovereto (10,8% di Mittel).
IL TAGLIANDO
A 25 anni dalla legge Amato, e a dopo gli altri interventi normativi che ne chiedevano la graduale uscita dal capitale delle banche, sono questi gli enti per i quali l’Acri continua a esistere, con la sua attività di lobbying piantata negli orticelli del potere. Ma è chiaro che dopo le crisi bancarie, e dopo che alcune grandi fondazioni sono state spazzate via (si pensi a Mps e Carige), il mondo è cambiato. Per non parlare di come è andata la storia del blitz sulla Cdp. Se è vero che le fondazioni non sapevano niente di Claudio Costamagna e Fabio Gallia, individuati dall’esecutivo come nuovi presidente e Ad, bisogna ammettere che la resistenza dell’Acri è stata alquanto blanda, visto che ha accettato le mosse del Governo facendosi dare qualche garanzia su rendimenti e posti in Cda. Se sapevano, e hanno fatto melina, la sostanza non cambia. In ogni caso una magra figura per un’associazione ormai inutile.
Twitter: @SSansonetti