Domenica si vota per le regionali e anche stavolta il vero convitato di pietra è l’astensionismo, ovvero il fantasma più temuto dai leader di governo e opposizione. Avere la maggioranza della minoranza inizia ad essere un serio problema. Per tutti. Per questa ragione il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha colto l’occasione del “Memorial day”, che ricorda la fine della seconda guerra mondiale, per chiamare gli elettori alle urne, mentre Lega e Berlusconi sparano contro la Ue, nella speranza di solleticare la pancia di quegli elettori, e non sono pochi secondo opinionisti e sondaggisti, che ormai considerano l’Europa solo un ostacolo. Per Renzi, però, c’è un problema in più da affrontare, ovvero il rischio di un blitz di chi, anche nel Pd, vuole cogliere l’occasione per fare inciampare il premier, per esempio in Liguria, dove la partita è sempre più sul filo del rasoio.
Renzi, nella sua uscita pubblica, affronta prima il tema dell’astensionismo e ricorda che settant’anni fa c’è chi ha sacrificato la vita per poter votare: “Andate a votare. Votare è il motivo per il quale hanno perso la vita migliaia di persone”. Una mozione degli affetti, un richiamo al patriottismo d’antan come raramente si è visto durante una campagna elettorale. Per giunta da parte del capo del governo in carica. Del resto che il clima nel Paese non sia più lo stesso di un anno fa, quando si è votato per le europee, il presidente del Consiglio lo ha ben chiaro. Governare logora, almeno in questa fase storica, a differenza di quanto sosteneva Giulio Andreotti. E poi c’è il concreto rischio che le difficoltà economiche tante famiglie italiane vivono ogni giorno si scarichino anche nelle urne per le regionali. Magari attraverso il non voto. E il successo di Podemos è un segnale anche per l’Italia Italia. In questo contesto è evidente che Lega e Movimento 5 Stelle possono intercettare parte del malcontento e Renzi, non a caso, chiede di dare “una mano al Pd perché fuori dal Partito democratico, cosa c’è?” Non molto, ma nemmeno il deserto dei tartari. Altrimenti Renzi sarebbe a caso della Fortezza Bastiani, per restare nel solco della metafora che riconduce al famoso libro di Dino Buzzati.
L’altro fronte, per il premier, è quello interno, ovvero la ribellione di parte della sinistra Pd, che in Liguria ha prodotto addirittura una lista concorrente. Renzi rispondendo a Nichi Vendola, che qualche giorno fa aveva definito la Liguria un “laboratorio”, parla anche al suo partito, che in quella regione è più diviso che mai. Su questo punto il premier tocca un nervo scoperto, per la sinistra, attaccando il “bertinottismo 2.0 che manda a casa la sinistra e spalanca le porte alla destra”. Votare Pastorino anziché Paita, per il leader Pd, significa fare come fece Bertinotti con Prodi nel 1998. Il non-voto, però, è un rischio anche per le opposizioni e non è un caso se Matteo Salvini arriva ad elogiare il successo di Podemos, formazione di sinistra, in Spagna: “E’ una boccata d’ossigeno per l’Europa dei popoli. La gente sta rialzando la testa vuol tornare a controllare i confini, le fabbriche, il lavoro. E’ una sconfitta per Renzi, Monti, i vari burocrati di Bruxelles”. Il leader leghista si rivolge a tutti quelli che ce l’hanno con la Ue e descrive tutti gli ultimi governi italiani come le diverse versioni di uno stesso prodotto, appunto la politica “dei burocrati di Bruxelles”. Lo stesso fa Silvio Berlusconi, che addirittura rievoca la lira. Anche Nichi Vendola usa il voto spagnolo e la Ue in chiave italiana: “Con la vittoria di Podemos viene sconfitta sia l’Europa liberista di Renzi sia l’Europa fascista di Salvini. Patetici i due Mattei che si intestano una vittoria, che è contro le loro politiche”. L’altro Matteo di cui parla Vendola è Renzi, perché anche il premier usa il voto spagnolo per criticare la linea della Ue: “Il vento della Grecia, il vento della Spagna, il vento della Polonia”, dice Renzi, “non soffiano nella stessa direzione, soffiano in direzione opposta, ma tutti questi venti dicono che l’Europa deve cambiare”.