Il Califfato islamico si sta rafforzando e l’Occidente continua a far finta di niente. Una dopo l’altra cadono regioni, città e migliaia di teste senza che qui si vada oltre le parole di generica condanna. Troppo poco. E mentre intellettuali come il giornalista Giuliano Ferrara ancora ieri sul Foglio invocava una sorta di crociata del terzo millennio, prima che sia troppo tardi, il massimo dell’allarme viene espresso dal nostro ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. “Il governo italiano – ha detto il responsabile della Farnesina – è preoccupato non solo per quello che succede in Siria, ma anche per la forse ancor più minacciosa situazione in Iraq. Tra qualche giorno a Parigi ci sarà la riunione del gruppo di testa della coalizione anti-Daesh e sarà fondamentale una verifica della strategia che portiamo avanti”. Si aspetta ancora, insomma, che altri decidano il da farsi. E intanto così non decide niente nessuno.
OBAMA TACE
Il più attendista – o il più determinato a lasciare andare le cose come vanno – è il presidente Usa Barak Obama. Riuscito a portare via le truppe dalla trappola irachena, il capo della Casa Bianca non ci pensa nemmeno a concludere il mandato con una nuova guerra. Come è sotto gli occhi di tutti, la situazione è però precipitata. L’Is negli ultimi giorni ha assunto il controllo dei confini siriani con l’Iraq a Est. I tagliagole stanno avanzando velocemente verso Baghdad e i raid degli aerei di Assad e della coalizione internazionale seminano morte senza però essere risolutivi. Servirebbero quindi truppe di terra, ma qui né gli Usa, né i caschi blu dell’Onu, né tanto meno questa piccola europa priva di esercito hanno uomini da impegnare. L’Iraq disperato resta così inascoltato mentre chiede all’Occidente di cambiare strategia. Agire subito – ha detto il vice premier iracheno, Saleh Mutlek, prima che l’intera provincia di Anbar cada nelle mani dello Stato islamico. Giovedì scorsa è caduta Ramadi, la capitale della maggior provincia irachena Anbar. E poi Palmira, dove un immenso patrimonio storico sta per essere cancellato. Ma il pericolo ormai è imminente nelle stesse due capitali di Iraq e Siria. L’Is ha infatti conquistato l’ultimo posto frontiera per Damasco, un villaggio strategico sulla strada che da Palmira porta alla capitale. Centinaia i soldati e i civili uccisi, in rovesciamenti di fronte che vedono talvolta l’esercito regolare prevalere sui jihadisti. La liberazione di un ospedale o le repentine avanzate e ritirate non cambiano però l’esito di uno scontro che pende sempre più a favore del Califfo.
L’ESODO
A oggi l’Is controlla infatti più del 50% della Siria, le province di Deir Ezzor e di Raqqa e hanno una forte presenza a Hasakeh, Aleppo, Homs e Hama. Nelle altre regioni il terrore è assoluto e chi può tenta di fuggire. Migrazioni bibbliche che vanno ad aumentare la pressione sulle coste del Nord Africa, da dove si salta poi verso l’Europa. Di fronte a tutto questo Usa ed Europa continuano a chiudere gli occhi. Tutti sanno che il Califfato non si fermerà e che presto o tardi porterà morte e distruzione anche in Europa. A questi fanatici però si sta permettendo colpevolmente di rafforzarsi, di conquistare tempo e territorio. Così che quando ci attaccheranno saranno molto più forti. E allora pagheremo tutta l’inerzia di questi giorni.