L’Antitrust potrebbe aprirci presto un dossier. A Roma, sotto gli occhi di tutti, si sta vivendo infatti l’ennesima violazione del libero mercato. Come spesso capita in Italia, però, proprio chi accusa i competitor di concorrenza sleale sta cercando di difendere un monopolio. E tra burocrazia, cavilli giuridici e giornali privi di qualunque capacità analitica, sta cercando di blindare una inaccettabile rendita di posizione. La vicenda è di grandissimo rilievo e parte dal nostro vuoto di strategia economica: questo Paese dove tutti siamo d’accordo nel voler valorizzare il turismo, quando si tratta di invogliare i turisti davvero fa regolarmente marcia indietro.
MERCATO TRADITO
Capita così che in tutto il mondo appena sbarcati da un aereo si hanno a disposizione molti mezzi per raggiungere le destinazioni programmate: taxi, autobus, treni e spesso anche le metropolitane. In Italia – e a Roma nello specifico – tutto questo non può capitare, perché le ferrovie hanno un loro trenino che collega lo scalo Leonardo da Vinci (Fiumicino) alla stazione Termini e non sopportano l’idea che i turisti possano prendere l’autobus. Così Trenitalia si rivolge al Tar, chiedendo di annullare le autorizzazioni rilasciate a quattro società di bus: Alivision Transport (azienda del gruppo britannico Terravision), Sit, Schiaffini Travels e Tirreno Azienda Mobilità (Tam). Un quotidiano locale – Il Tempo – raccontava nei giorni scorsi la vicenda evidenziando la concorrenza sleale fatta ai treni, quando invece la vera slealtà è costringere i turisti a prendere senza alternative un taxi che può costare più del biglietto aereo o un treno che costa il triplo dell’autobus. La motivazione di lana caprina dietro la quale Trenitalia cerca di difendere il suo (costoso) monopolio è l’autorizzazione data dall’allora Provincia di Roma alle compagnie di autobus. In un Paese dove serve un permesso burocratico anche per respirare, le compagnie dei bus hanno dovuto sottostare al passaggio su una fermata virtuale tra Fiumicino a Roma. Bene, questa penalizzazione per gli autobus è diventata la scusa di Trenitalia per togliere di mezzo i torpedoni e guadagnare di più. Sono le stesse Ferrovie a quantificare nel ricorso al Tar il danno subito da quella che in un mondo normale si chiama concorrenza: otto milioni di euro l’anno. Ora, senza fare nessuna ironia su come si possa essere arrivati definire una tale cifra, Trenitalia omette di ricordare che il treno non solo costa il triplo rispetto ai bus, ma prende pure milioni di euro di contributi pubblici dalla Regione Lazio mentre i bus campano solo con gli investimenti dei privati. Sarebbe questa allora la violazione della concorrenza? La corbelleria è talmente evidente che Trenitalia si è guardata bene dal rivolgersi proprio all’Antitrust e ha invece tirato fuori tutti i cavilli disponibili tra le righe delle leggi di settore e si è rivolta al Tribunale amministrativo del Lazio. Tar al quale tocca ora decidere cosa conta di più tra un cavillo giuridico e la libertà di concorrenza.
LOW COST
I milioni di turisti che atterrano a Fiumicino non hanno mai avuta puntata una pistola per prendere il bus anziché i più costosi taxi e treno (per non parlare degli abusivi e dei conducenti Ncc). Se scelgono il bus è perché in tutto il mondo c’è chi ama viaggiare low cost. Togliere i bus creerebbe un incredibile precedente, perfetto per far dire ai detrattori dell’Italia come trattiamo qui i turisti. Ma di tutti questi più che ovvi ragionamenti sui giornali che pubblicano le veline non c’è traccia. E così Roma rischia di ritrovarsi un monopolio in più. E perdere altri turisti. Bel modo di spingere la città.