È un numero impressionante quello dei cantieri che potrebbero essere aperti già domani mattina, facendo decollare l’edilizia e a cascata l’economia del Paese. Sono infatti almeno 5mila le opere pubbliche e private bloccate non per mancanza di fondi ma per i vincoli del Patto di stabilità o per le solite pastoie burocratiche. A denunciarlo sono stati ieri gli “stati generali delle costruzioni” (Cna Costruzioni, Ance, Anaepa Confartigianato e Alleanza per le cooperative italiane) con l’appello ad attivare un elenco di opere che coinvolge tutto il territorio nazionale e che vale nove miliardi.
OTTO ANNI DI CRISI
“Questo è l’unico modo per salvare il settore dell’edilizia al collasso”, spiega Rinaldo Incerpi, presidente di Cna Costruzioni, che associa le piccole imprese, l’ossatura di questo settore che vale il 5,4% dell’economia italiana. Il 98% delle imprese edili, con l’80% degli addetti, conta infatti meno di 20 dipendenti. “Siamo entrati nell’ottavo anno di una crisi devastante, che ha bruciato metà dei posti di lavoro e cancellato 68mila imprese”, spiega Incerpi, ricordando l’effetto moltiplicatore degli investimenti edili sull’economia.
Benefici possibili anche se il mercato immobiliare è fermo?
“Noi non chiediamo di costruire nuove case a pioggia, ma di rilanciare le infrastrutture pubbliche e di risanare il vecchio. Dal ’90 a oggi gli investimenti in infrastrutture sono stati tagliati dei due terzi, mentre si moltiplicava la spesa pubblica, con una crescita del 34% al netto degli interessi sul debito”.
Insomma, dice lei, a pagare l’austerità sono stati l’ammodernamento e l’infrastrutturazione dell’Italia, non i tagli degli sprechi…
“Appunto. E gli scarsi investimenti sono stati convogliati nelle grandi opere, perlopiù rimaste inultimate e fonte del malaffare, come dimostrano gli scandali a raffica portati alla luce negli ultimi anni. Noi chiediamo di voltare pagina. Suggeriamo di puntare sulla prevenzione del rischio idrogeologico, la messa in sicurezza gli edifici scolastici, il recupero dei centri storici e delle periferie, la riqualificazione energetica.
I soldi dove si prendono?
“Intanto c’è il Piano Juncker, anche se i fondi sono ancora non ben definiti. Poi ci sono le risorse impegnate nella legge di stabilità e i fondi comunitari. Superare il Patto di stabilità interna e usare i tanti fondi già stanziati per combattere il rischio idrogeologico e per l’edilizia scolastica. E infine c’è da intervenire su altri tre fronti: fisco, crisi aziendale e pagamenti delle amministrazioni pubbliche. In ordine, la soppressione dello split payment, la semplificazione della local tax in vigore dal 2016, la defiscalizzazione dell’acquisto della prima casa, l’abolizione dell’Imu sugli immobili invenduti. Nel caso di crisi aziendali servono provvedimenti mirati a mitigare le situazioni critiche. E si devono pagare i debiti della Pubblica amministrazione con le imprese.