“Non c’è cosa più democratica di mettere la fiducia. Se la fiducia non viene approvata il governo va a casa, altrimenti passa. Sì, era assolutamente necessario mettere la fiducia”. Sono da poco passate le venti della sera di un martedì che comunque passerà alla storia, quando il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, entra nelle case degli italiani grazie al Tg1. E lo fa con il suo solito stile, faccia bonaria ma parole pesanti come pietre. E siccome in queste vicende conta anche la forma, il fatto che abbia scelto il Tg1 per lanciare il guanto della sfida, significa che Renzi non sono vuol dare la spallata alla minoranza Dem ma vuole anche mandare fuori strada le opposizioni.
L’INEVITABILE
E siccome Matteo è uno che vuole sempre sparare per primo, era inevitabile che ricorresse alla fiducia (oggi la prima votazione). Perché l’inquilino di Palazzo Chigi non solo non si fida di nessuno, ma ormai teme come un male non richiesto Bersani, Letta, la Bindi, Speranza, Cuperlo e Fassina. Le dichiarazioni delle ultime ore dei suoi compagni di partito, fanno sapere anche se a denti stretti dal giglio magico del premier, hanno fatto imbestialire Renzi. “Ma chi si credono di essere questi qua”, avrebbe confidato ai suoi. Non solo. Siccome il capo del governo non accetta di farsi mettere in discussione proprio ora, ecco che il voto sulla legge elettorale è il punto di non ritorno. Ora o mai più. E la prova sta nella cronaca della giornata. “Con questi numeri, voglio proprio vedere come la giustifica la fiducia”, sostiene Rosy Bindi uscendo dall’aula dopo il voto segreto, ma ad ampia maggioranza, che ieri mattina ha respinto le pregiudiziali di costituzionalità sull’Italicum.
MA I NUMERI ERANO DALLA SUA
In effetti, a guardare i numeri, è stato un trionfo per Matteo Renzi. Le pregiudiziali votate con due scrutini segreti sono state bocciate prima con 384 voti contrari (contro 208 favorevoli) e poi con 385 no. Ciò nonostante Renzi ha preferito scegliere la strada della fiducia. Subito: colpo secco e senza ripensamenti, tanto da spiazzare chi tra i suoi gli consigliava di prendere tempo. Niente da fare. Tanto vale ufficializzare questa visione ponendo la questione di fiducia, far combaciare la sostanza alla forma, spiegheranno poi i suoi stretti collaboratori. Perché dietro i numeri generosi dei voti di ieri mattina si nasconde il bluff. Renzi non si fida di nessuno. E la fiducia, in realtà, non l’hai mai messa in discussione. Si trattava solo di trovare il modus politico più indicato per spiegarla. E anche chi gli consigliava di fare un altro tentativo, mandare in aula il ministro Maria Elena Boschi a lanciare l’estremo appello (se non si chiedono voti segreti sugli emendamenti, il governo non mette la fiducia) è rimasto inascoltato. Ecco perché il Consiglio dei ministri viene convocato intorno alle 14.30. Poco dopo il premier si spiega su Twitter: “Dopo anni di rinvii noi ci prendiamo le nostre responsabilità in Parlamento e davanti al Paese, senza paura”. E ora vediamo se davvero quando il gioco si da duro i duri cominciano a ballare, anzi a non votare.
Vento di scissione nel Pd
di Sergio Castelli
Lo strappo si è allargato. Una resa dei conti che si fa sempre più inevitabile tra la minoranza del Pd e la maggioranza guidata da Matteo Renzi. Una partita decisiva quella imposta dal voto di fiducia che non potrà finire in pareggio. Forzando la mano il segretario dem potrebbe andare a casa anticipatamente, ma se vincesse a casa ci manderebbe definitivamente i vecchi esponenti del Partito democratico che fanno la guerra al premier. Non hanno alcun dubbio l’ex capogruppo Roberto Speranza e Pippo Civati: loro due non voteranno sicuramente la fiducia sulla legge elettorale. Sta valutando Pier Luigi Bersani. Proprio dalle labbra dell’ex segretario pende la decisione di molti altri deputati. C’è chi parla di una quarantina già pronti al secco no.
LA CONTA DEI DISSIDENTI
Il pallottoliere è partito. Anche Gianni Cuperlo sta valutando cosa fare. Certo è che mai prima d’ora il Presidente del Consiglio si è trovato a fronteggiare un così ampio dissenso. “Colpisce che siano così tanti e così autorevoli gli esponenti del Pd che si dissociano dalla decisione di Renzi”, afferma Civati, “Se prima eravamo in quattro (numero non metaforico), oggi leggo che Bersani, Bindi, Cuperlo, Letta, Speranza e molti altri stanno valutando di battere un colpo, così come avevano gia’ dichiarato di voler fare D’Attorre e Fassina”. Eppure, fatta eccezione proprio per Civati, nella mattinata di ieri la minoranza dem ha votato compatta con la maggioranza.
PARTITA APERTISSIMA
Area democratica, che conta su un centinaio di deputati, si è spaccata in due tronconi. Favorevoli e contrari all’Italicum. Potrebbe essere solo l’anticamera dello scisma del Pd. Alla fine molti di Area democratica potrebbero votare fiducia alla legge elettorale non perché realmente convinti dall’Italicum, ma piuttosto per paura di sparire nel dimenticatoio. Perché se il Governo cade i primi a sparire dalla circolazione sarebbero proprio i vecchi democratici. Nessuno escluso.