di Stefano Sansonetti
Come le mosche sul miele. Difficile accettarlo, ma il miele in questione è rappresentato dall’enorme debito pubblico italiano, ormai proiettato verso i 2.200 miliardi di euro. E le “mosche” sono 20 banche, di cui 17 estere, pronte a sfruttare economicamente la gestione di questa montagna di soldi. In realtà nasce proprio da qui il problema dei contratti “derivati”, di cui va tanto di moda parlare in questi giorni. Ma a monte la questione è ancor più dirompente. Il vero nodo è che lo Stato non ha nessuna autonomia di gestione del suo debito pubblico. Questa passa per le mani di una lista, il cui ultimo aggiornamento da parte del ministero dell’economia risale all’8 aprile del 2013, nella quale sono messi nero su bianco i nomi di 20 banche, quasi tutte estere: Banca Imi, Barclays (inglese), Bnp Paribas (francese), Citigroup (americana), Commerzbank (tedesca), Crédit Agricole (francese), Credit Suisse (svizzera), Deutsche Bank (tedesca), Goldman Sachs (americana), Hsbc (inglese), Ing Bank (olandese), Jp Morgan (americana), Merril Lynch (americana), Monte dei Paschi, Morgan Stanley (americana), Nomura (giapponese), Royal Bank of Scotland (inglese), Société Générale (francese), Ubs (svizzera) e Unicredit.
IL GRUPPO
Ebbene, si tratta dei cosiddetti “specialisti in titoli di Stato”, ovvero gli istituti finanziari che per il Belpaese non soltanto provvedono alla parte organizzative delle aste, collocando i nostri titoli, ma in una certa misura ne “modellano” il risultato, visto che sono anche tenuti a garantirne una percentuale di acquisto. Naturalmente per fare tutto questo le banche guadagnano vagonate di soldi. E un debito pubblico “monstre”, come quello italiano, per loro è una cuccagna infinita. Ma gli stessi istituti vantano anche tutta una serie di privilegi, certificati dall’art. 9 di un decreto dirigenziale firmato l’11 novembre del 2011 da Maria Cannata, il capo della direzione del debito pubblico del ministero da poco più di un anno guidato da Pier Carlo Padoan. L’articolo, intitolato proprio “privilegi”, spiega che agli specialisti è garantito “l’accesso esclusivo alla riapertura delle aste dei titoli di Stato che prevedono questa opzione nonché alle aste di concambio e riacquisto”. E’ poi assicurato “l’accesso alla selezione di banca capofila per le emissioni sindacate in euro, di intermediario per il programma benchmark in dollari statunitensi, degli operatori per le operazioni di riacquisto bilaterali”. Dulcis in fundo viene garantita “la preferenza per la partecipazione alle altre emissioni in valuta e per le operazioni in derivati”. Quegli stessi derivati che sono arrivati a valere 163 miliardi di euro, con una perdita potenziale per l’Italia di 42 miliardi, e che comunque negli ultimi quattro anni sono costati allo Stato 12,4 miliardi (oneri di rinegoziazione compresi).
IL PUNTO
Ma grazie a questo passaggio arriviamo a capire perché il concetto di “derivato” è la conseguenza di un problema che sta a monte. Senza starci a girare troppo intorno, il debito pubblico italiano è “ostaggio” delle mosse che vengono compiute da 20 banche, quasi tutte estere. Non ne possiamo fare a meno, come del resto accade in altri paesi, perché senza di esse non riusciremmo minimamente a gestire questa “montagna”. Insomma, di fatto abbiamo le mani legate, mentre questi 20 istituti hanno modo di lucrare anche attraverso gli ormai famigerati contratti derivati, sulla carta “polizze” con le quali lo Stato cerca di proteggersi dai rischi di cambiamento dei tassi di interesse, nella sostanza “mine” pronte a esplodere nel bilancio dello Stato, se non trattate con tutte le cautele del caso. Tra l’altro ogni anno di Dipartimento del Tesoro, guidato dal 2012 da Vincenzo La Via, stila una classifica dei migliori specialisti in titoli di Stato, in base a una valutazione dell’attività svolta. Ebbene, in base all’ultima graduatoria firmata il 21 gennaio del 2015 dalla stessa Cannata, risulta che nell’anno 2014 al primo posto si è classificata la “disastrata” Monte dei Paschi, che ha preceduto Unicredit, Jp Morgan, Citigroup e Barlcays.
Twitter: @SSansonetti