di Stefano Sansonetti
Chissà, forse alla fine nessuno di loro riuscirà a mettere le mani sul Quirinale. La storia, del resto, è piena di candidature bruciate in corso d’opera. E quando a farla da padrone sono le strategie politiche un esito del genere è assolutamente possibile. Se però si dovesse limitare il ragionamento alle figure che più si stanno agitando in questo momento per succedere a Giorgio Napolitano, un dato sarebbe sicuro: gli interessi e gli agganci internazionali che si stagliano sullo sfondo della corsa alla ruolo di presidente della repubblica. Qualche esempio? Romano Prodi nel corso degli anni ha affinato i suoi rapporti con la Cina diventando consulente dell’agenzia Dagong. Giuliano Amato, con rapporti a dir poco trasversali anche oltre confine, ha cementato il legame con la Germania fino a essere nominato senior advisor di Deutsche Bank. Massimo D’Alema, forte del suo passato da presidente del consiglio e ministro degli esteri, può vantare incisive entrature negli Usa, soprattutto lato Washington. Ora, al di là di quello che sarà l’esito finale, con eventuali altri profili in campo (Emma Bonino, Franco Marini e via dicendo), è regola non scritta che per vincere la corsa al Quirinale bisogna avere ottimi rapporti in almeno tre direzioni: magistratura, servizi segreti e comunità internazionale.
Il mandarino di Prodi.
Quello dell’ex presidente del consiglio, nonché fondatore dell’Ulivo, è un nome che circola da tempo. Ma nonostante questo sembra proprio non andar giù al Pdl. Al di fuori dell’Italia, invece, Prodi ha tessuto una bella tela. Si dà infatti il caso, come rivelò tempo fa il China Daily, che abbia intrecciato fitti rapporti con l’agenzia di rating Dagong, diventandone anche consulente. Per non parlare del ciclo di lezioni di economia che qualche anno fa ha tenuto alla tv pubblica cinese. In più Prodi può contare sul legame con uno dei manager italiani più attivi a Pechino e dintorni. Parliamo di Alberto Forchielli, fondatore e ancora oggi managing director di Mandarin Capital Partners, in pratica un fondo di private equity specializzato in investimenti tra Cina ed Europa. All’interno del medesimo fondo Mandarin, tra l’altro, lavora Lorenzo Stanca, parente dell’ex ministro Lucio Stanca e recentemente nominato vicepresidente di Dagong Europe Credit Rating. Insomma, il giro porta sempre a quella che non è soltanto un’agenzia di rating, ma una vera propria società di consulenza. Di Prodi, però, non può essere tralasciata la lunga esperienza maturata in Goldman Sachs, una delle storiche e più importanti banche d’affari americane. Nelle cui stanze, peraltro, sono passati a fasi alterne anche personaggi come Mario Draghi, Mario Monti e Gianni Letta, soltanto per limitarsi ai casi più noti.
Amato e il feeling teutonico.
Nel caso di Giuliano Amato ci si trova di fronte a una rete di rapporti che più vasta non si può. Di sicuro i legami con la Germania sono dimostrati dal fatto che l’ex presidente del consiglio già da qualche anno siede sulla poltrona di senior advisor per l’Italia di Deutsche Bank.
L’istituto di credito tedesco è presente in tutti i gangli economico-finanziari del Belpaese. Innanzitutto è nella lista dei 20 specialisti dei titoli di stato, ossia quelle banche che provvedono a organizzare le aste dei nostri Btp e ne garantiscono corpose percentuali di acquisto. Ma Deustche Bank è stata coinvolta in qualità di advisor in operazioni come la procedura vendita di Ansaldo Energia da parte di Finmeccanica, l’aumento di capitale di Bpm o la fusione tra Atlantia e Gemina, il maxipolo autostradale-aeroportuale che fa capo alla famiglia Benetton. Anche nel caso di Amato, però, non va dimenticato lo stretto rapporto con gli Usa. L’attuale presidente della Treccani, infatti, negli anni ‘60 conseguì un dottorato alla Law School della Columbia University, dove succesivamente sarebbe tornato più volte a tenere corsi. E Amato è dal 2002 anche presidente del Centro studi americani, senza contare la sua “militanza” all’interno del comitato esecutivo dell’Aspen Insitute Italia (dove siede anche Prodi), autentico crocevia di rapporti che conducono alla sponda liberal degli Usa.
D’Alema piace a Washington.
Quando si parla di Aspen non si può fare a mano di citare Massimo D’Alema, che ne è socio ordinario. Anche l’ex presidente del consiglio e ministro degli esteri può vantare buoni rapporti con gli Stati Uniti. Ma alcuni osservatori fanno notare come in realtà il legame esista con gli ambienti liberal di Washington. Lo stesso discorso, è l’essenza del ragionamento, non vale però per New York e tutta la comunità finanziaria ebraica che vi ruota intorno. Quest’ultima, in sostanza, non avrebbe mai visto molto di buon occhio i rapporti tenuti nel corso del tempo da D’Alema con i palestinesi. In ogni caso l’ex premier ha avuto modo di legare all’epoca con Madeleine Albright, segretario di stato con Bill Clinton presidente. In più non va dimenticato che nell’ultima legislatura lo stesso D’Alema è stato presidente del Copasir, ovvero del comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. In questa veste, neanche a dirlo, ha avuto modo di esplorare a fondo quel settore la cui conoscenza è appunto uno dei requisiti necessari per aspirare al Colle. Tutto questo, naturalmente, non copre le questioni di più stringente politica interna. E il discorso, ovviamente, non vale solo per D’Alema, ma per tutti i papabili.
Sta di fatto che proprio D’Alema, Amato e Prodi sono i profili, tra quelli usciti finora, che più “tradiscono” gli interessi internazionali che possono entrare nel gioco dell’elezione del prossimo presidente della repubblica. In quale misura questi interessi possano incidere, poi, è da vedere sul campo. Di sicuro i protagonisti in gioco ritengono fermamente che i rapporti coltivati con l’estero nel corso del tempo siano un biglietto da visita potenzialmente “vincente”.