di Vittorio Pezzuto
Lo ripetono da settimane come un mantra: «Il governo può continuare a svolgere le sue funzioni in regime di prorogatio. Per risolvere gli urgenti problemi del Paese basta e avanza il Parlamento. Se davvero lo si vuole, le leggi possono essere approvate in poche sedute». Che dire? I parlamentari eterodiretti da Beppe Grillo difettano sicuramente di esperienza (ignorano ad esempio che, per essere definitivamente approvata nel nostro sistema bicamerale perfetto, una legge deve attendere in media un anno e mezzo) ma nessuno potrà mai negare la loro cocciuta ostinazione. In fondo sono quello che sembrano, degli idealisti un poco pasticcioni che nel loro programma elettorale – alla voce “Stato e cittadini” – sono riusciti a indicare questo obiettivo: «Leggi rese pubbliche online almeno tre mesi prima della loro approvazione per ricevere i commenti dei cittadini». Una castroneria bella e buona, dal momento che le leggi sono tali solo se approvate da entrambi i rami del Parlamento mentre i testi di tutte le proposte di legge già adesso sono consultabili in tempo reale sui siti di Camera e Senato. E’ proprio quello che abbiamo deciso di fare, convinti che avessero utilizzato questo primo, travagliato mese di legislatura per dare il buon esempio e rifornire di efficaci e rivoluzionarie munizioni le commissioni che prima o poi verranno costituite. Con grande sorpresa abbiamo invece scoperto che nessuno dei 109 deputati e 54 senatori pentastellati ha finora depositato alcun testo, il loro contributo alle istituzioni repubblicane limitandosi per il momento a una manciata di interventi in aula e in commissione così come a un paio di interrogazioni.
Siamo giornalisti coscienziosi e non fidandoci fino in fondo di Internet (Beppe Grillo ci perdoni) abbiamo cercato una conferma presso i loro due gruppi parlamentari. Contattato quello della Camera, abbiamo più volte chiesto di parlare con uno dei loro comunicatori. Ma quelli, nemmeno fossero dei burocrati ministeriali di lungo corso, sono risultati ogni volta fuori stanza e quindi non ci è rimasto che immaginarli impegnatissimi nel portare a spasso il loro silenzio stampa. Siamo però riusciti a farci passare la responsabile dell’ufficio legislativo, che ha preferito non fornirci il suo nominativo. Il tono della sua voce tradiva peraltro circospezione mischiata a diffidenza: «Confermo tutto, non abbiamo presentato finora alcuna proposta di legge. E d’altronde qualità e quantità non vanno quasi mai a braccetto». Quantità? Ma se siete ancora a quota zero… «Che significa? Si guardi le leggi depositate dagli altri: tutta roba mollata lì, senza criterio. Noi invece stiamo lavorando a proposte mirate che rispecchiano i punti del nostro programma e sulle quali chiederemo il consenso di tutti gli altri». Potrebbe anticiparcene non dico i contenuti ma almeno i titoli? «Purtroppo no, non sono autorizzata a farlo». Nel ringraziarla sentitamente per queste preziose informazioni, le abbiamo chiesto se lavori nel gruppo perché scelta dall’elenco dei vecchi funzionari stabilizzati dall’ufficio di presidenza della Camera. «Guardi, non so nemmeno di cosa stia parlando. Io sono una consulente esterna e non posso aggiungere altro. Adesso la saluto che torno a lavorare». Clic. Abbiamo allora chiamato il gruppo pentastellato di Palazzo Madama. «Guardi, per la stampa dovrebbe parlare con Claudio Messora. Però non conosciamo il suo numero interno e non siamo autorizzati a dare il suo numero di cellulare». Perfetto. E l’ufficio legislativo? «L’ufficio legislativo sono io». Quando si dice la fortuna. «Sì, però con la stampa non parlo». Ah, ecco. Ma è vero che non avete finora presentato alcuna proposta di legge? «Smentisco». In che senso? «Nel senso che ne stiamo per presentare moltissime, più di trenta». Ri-clic.
Pur aspettando fiduciosi il botto promesso, non possiamo non restare perplessi di fronte a una realtà organizzativa e politica che più che a un soviet richiama alla memoria i gruppuscoli semiclandestini che hanno affollato gli anni Settanta: unanimismo forzato, l’ossessione del pensiero collettivo, la diffidenza reciproca per ogni iniziativa personale e soprattutto l’assenza preoccupante di senso dell’umorismo. Viene così da chiedersi cos’abbiano finora combinato i seguaci del comico genovese, che il fragoroso Vaffa di un quarto dell’elettorato ha spedito nella capitale per chiudere finalmente i conti con i corifei della vecchia politica. Viaggiano sugli autobus, e va bene. S’impratichiscono con la toponomastica romana e intanto cercano una casa da affittare (in comune con altri, ovvio), e va bene.
Ma il resto della giornata come lo trascorrono? L’unico a lavorare sodo sembra essere il capogruppo al Senato Vito Crimi, che si dedica quotidianamente a una raffinata doppia incombenza: rilasciare una dichiarazione politica al mattino e poi smentirla con altrettanta energia in serata. Evidentemente ha fatto sua la lezione del grande economista John Maynard Keynes: in periodo di crisi, i lavoratori disoccupati dovrebbero essere pagati per scavare una buca e poi per riempirla. Solo che nel suo caso la buca rischia di diventare in breve tempo una gigantesca fossa.