di Stefano Sansonetti e Marcello Di Napoli
Non è un paese per carte di credito. Inutile giraci intorno. Mentre tutti i governi, compreso quello guidato da Matteo Renzi, a parole sono impegnati a cercare di diffondere i pagamenti elettronici, nella vita di tutti i giorni continuano a essere parecchi i luoghi presso i quali carte di credito e bancomat sono percepiti come fumo negli occhi. E qui, almeno in prima battuta, non c’entra tanto la lotta all’evasione fiscale. In rilievo c’è semmai un’impostazione normativa, ma anche culturale, che penalizza la diffusione della moneta elettronica. Bar, tabaccai, edicole, taxi. Eccoli qui i fortini inespugnabili del contante, che in modo o nell’altro contribuiscono a fare da tappo a un più vasto utilizzo dei pagamenti elettronici.
I SETTORI
Tra i casi più in vista c’è quello che riguarda i tassisti. Da Roma a Milano la situazione non cambia poi molto. Spesso e volentieri l’utente si sente dire che l’uso della moneta elettronica è accettato solo per le corse di valore più cospicuo, dai 30-40 euro in su. Eppure c’è una legge che sulla carta obbligherebbe i conducenti a non rifiutare mai il pagamento con carta o bancomat. Il settore ha la sue (non sempre legittime) ragioni. Ieri La Notizia è andata a curiosare in una delle più grandi stazioni di taxi nel centro di Roma. E le spiegazioni sono sempre state le stesse. “Per affittare il Pos pago 120 euro l’anno”, ci si sente rispondere. In più “prendendo a esempio una corsa equivalente a 20 euro, a causa delle commissioni il guadagno si riduce a 19,60”. Già, le commissioni. “Una spina nel fianco”, dicono i tassisti, ripetendo un mantra che li accomuna ad altre categorie. Di sicuro i conducenti non ne vogliono sapere: “Non si vede perché pagare la commissione. Soprattutto quando c’è poco lavoro. Su quel poco che si guadagna devo pure lasciarci il due per cento”. Un ragionamento di pancia, come tale astrattamente comprensibile. Ma la legge dice tutt’altro. E una buona fetta dei tassisti se ne frega.
GLI ALTRI
Si prendano i tabaccai. Come ha spiegato ieri al nostro giornale la Fit, la federazione di settore, la categoria sarebbe ben contenta di un maggiore utilizzo di carte e bancomat, in primis per ragioni di sicurezza. Il fatto è che il combinato disposto degli alti livelli delle commissioni e del basso livello degli aggi, a dire dei tabaccai, determina un ostacolo quasi insormontabile. Perché non si riesce quasi mai a comperare un pacchetto di sigarette con moneta elettronica? La risposta della Fit è semplice. Perché il margine di guadagno è del 10% al lordo delle spese. Questo significa che su un pacchetto che costa 5 euro il margine per l’esercente è di 50 centesimi. Destinato a essere eroso dalle commissioni previste sull’impiego della carta di credito. Insomma, nessun guadagno. Al punto che, nell’ottica dei tabaccai, o si aumenta l’aggio o si riducono al minimo le commissioni. O tutte e due le cose insieme. Che poi, nel settore, i pagamenti in contanti sono anche altri. Per esempio, spiega sempre la Fit, è consuetudine tra i piccoli tabaccai pagare le forniture di tabacco portando contanti anche per 5 o 6 mila euro alle Poste. Andazzo diverso per i tabaccai più grandi, che usano i Rid aperti a favore dei vari creditori, tra cui i depositi fiscali, e direttamente collegati ai conti correnti. Fa lo stesso una certa impressione sapere che buona parte del movimento si presenta alle Poste con la scatole piene zeppe di banconote.
NON FINISCE QUI
Altro contesto in cui l’uso del contante la fa ancora da padrone è quello delle edicole. Chi mai si è sognato di fare un pagamento con carta di credito o bancomat, come invece è assolutamente possibile all’estero? Qui il fatto è che nella maggior parte dei casi gli edicolanti non hanno la partita Iva. E non possono avere in dotazione un Pos per i pagamenti elettronici. La questione è tecnica e dipende dal fatto che in questo settore l’Iva viene pagata a monte dall’editore. Per questo per l’edicolante è sufficiente avere la licenza comunale e incassare una percentuale del prezzo di copertina dei prodotti venduti. Certo, questo discorso dovrebbe valere fintanto che gli edicolanti vendono prodotti editoriali. In caso di ulteriori prodotti dovrebbero chiedere la partita Iva. Ma questo avviene piuttosto raramente. Per non parlare dei bar, dove a nessuno verrebbe mai in mente di pagare un caffè o un cappuccino con moneta elettronica. Anche perché, a differenza di quanto avviene all’estero, se lo chiedesse si sentirebbe versimilmente opporre un rifiuto. E pure in questo caso la spiegazione è la stessa. Commissioni troppo alte, mai modulate, che non rendono conveniente per il barista accettare il pagamento elettronico per cifre che non abbiamo un certo “spessore”.
Twitter: @SSansonetti