di Francesco Nardi
Sarà anche vero che i grillini fino ad oggi non hanno prodotto molto in Parlamento, ma si deve ammettere che l’annunciato lavoro di “vigilanza” lo stanno facendo senza pausa e senza sconti per nessuno. Questa volta ad essere “attenzionato” dai deputati del M5S è stato il gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia, la neonata formazione guidata da Giorgia Meloni e in cui è migrato dal Pdl anche Ignazio La Russa. Il caso si è dato nell’Ufficio di Presidenza in cui la formazione del gruppo è stata approvata all’unanimità nonostante fosse composto da soli nove membri, laddove il regolamento ne richiederebbe un minimo di 20. A farsi balzare la mosca al naso è stato il deputato grillino Roberto Fico, che ha avuto la presenza di spirito di chiedere durante la riunione quanto costasse al contribuente la formazione di un nuovo gruppo in deroga al regolamento. La risposta del questore è stata pronta: 400mila euro, ed è stata sufficiente a far apparire sul blog di Beppe Grillo un infuocato post in cui si denunciava l’ennesimo spreco di denaro pubblico perpetrato dalla casta dei politici.
Allo scandalo è seguita un’inevitabile polemica e che nello specifico ha messo in serio imbarazzo il Partito democratico, reo di aver votato l’ammissione del gruppo della Meloni senza battere ciglio, lasciando quindi al M5S una comoda ribalta da cui far brillare le cinque stelle dell’indignazione.
Quattrocentomila euro all’anno, del resto, non sono esattamente una sciocchezza e l’accusa di aver contribuito a sprecarli di questi tempi appare quanto mai infamante.
E’ così che il Pd ha sentito il bisogno di spiegare la sua posizione, di fatto assumendo la difesa d’ufficio dei nove fratelli d’Italia appena riuniti in gruppo a Montecitorio.
La difesa di categoria
A spiegare meglio di tutti la posizione del Pd è stato Ivan Scalfarotto che ha vergato un lungo post sul suo blog intitolato “Esempio di manipolazione a cinque stelle”.
Il piddino ha in effetti le sue buone ragioni, in particolare laddove spiega che nulla è stato fatto in violazione di alcuna norma.
Cosa dicono le regole
Secondo il regolamento della Camera infatti – ricorda Scalfarotto – è perfettamente legale costituire un gruppo con meno di 20 deputati e nello specifico prevede che “L’Ufficio di Presidenza può autorizzare la costituzione di un Gruppo con meno di venti iscritti purché questo rappresenti un partito organizzato nel Paese che abbia presentato, con il medesimo contrassegno, in almeno venti collegi, proprie liste di candidati, le quali abbiano ottenuto almeno un quoziente in un collegio ed una cifra elettorale nazionale di almeno trecentomila voti di lista validi”. Tutte condizioni soddisfatte dall’aspirante gruppo di Fratelli d’Italia e che quindi si è costituito nel completo rispetto delle regole. Il principio della rappresentatività politica territoriale, che anima la norma del regolamento che ha consentito la creazione del gruppo degli ex pidiellini, incontra però una possibile opposizione che smonta parzialmente anche la ben argomentata difesa offerta pro bono da molti esponenti del Partito democratico.
Fratelli d’Italia è infatti un partito piccolo ed anche appena nato, e di conseguenza dovrebbe avere particolarmente a cuore il suo radicamento sul territorio nazionale. Purtroppo però le cronache hanno fatto registrare qualche polemica a proposito di scelte della dirigenza che stridono con l’adesione a questo sano principio.
Fa comodo esempio il caso della mancata elezione di Marcello Gemmato in Puglia per il quale le porte di Montecitorio sono rimaste sbarrate perché La Russa ha optato proprio per il suo collegio allo scopo di lasciare via libera in lombardia al fedelissimo Massimo Corsaro.
L’elezione del “fratello d’Italia” pugliese avrebbe infatti favorito l’espansione territoriale del piccolo partito di Giorgia Meloni, ma purtroppo il principio che è stato tanto utile alla formazione del gruppo di Montecitorio non deve essere sembrato irresistibile nel momento della scelta dei seggi.
Tutti allergici al Misto, la carica dei gruppettari
Il caso del gruppo di Fratelli d’Italia, che si è costituito a Montecitorio in forza dei suoi soli 9 deputati, non è certo il primo che si è verificato e c’è da scommettere che non sarà l’ultimo.
Di deroghe alla regola che prevede un numero minimo di venti deputati (o dieci senatori) ne sono state fatte moltissime, tanto che a Montecitorio è quasi la deroga stessa a costituire la regola. Per di più, se si va a controllare i precedenti, si scopre che la pattuglia dei deputati di Giorgia Meloni è anche abbastanza folta, rispetto a gruppi che in passato si sono formati anche con pochissime unità.
La splendida annata del 1976
L’esempio più lampante risale al 1976, laddove all’inizio della settima legislatura, fu permesso ai soli quattro eletti radicali di costituirsi in gruppo autonomo. Erano però in buona compagnia giacché dello stesso trattamento di favore si giovarono anche i cinque eletti del Partito liberale e la sparuta pattuglia spinelliana del Partito di Unità Proletaria per il Comunismo – Democrazia Proletaria. Ma l’elenco è lungo e riguarda tanto la Camera dei Deputati quanto il Senato, dove però il regolamento richiede per la deroga dei requisiti differenti. “Fare gruppo”, ad ogni modo, resta un’ambizione per ogni pattuglia parlamentare, e non sono solo politici i motivi che muovono tale desiderio. E’ evidente che confluire nel Misto pone un velo d’ombra sull’attività politica di un piccolo insieme di eletti, ma sopratutto sbarra la strada verso una serie significativa di vantaggi cui è difficile e doloroso dover rinunciare. Tra questi, non ultima la possibilità di gestire fondi aggiuntivi per la gestione delle strutture e l’assunzione di ulteriore personale.
Le promozioni di Bertinotti
Un’altra ottima annata per le deroghe è stata quella del 2001, quando nelle prime battute della XV legislatura fu permesso di costituirsi in gruppo autonomo agli undici deputati eletti nelle file di Rifondazione comunista guidata dal futuro Presidente della Camera, Fausto Bertinotti.
Lo stesso subcomandante Fausto fu a questo proposito determinante nella legislatura successiva, quando – dallo scranno più alto di Montecitorio – fece pesare il suo voto in ufficio di Presidenza per autorizzare la creazione di un nutrito numero di gruppi che altrimenti non avrebbero avuto i numeri necessari. Fu così che, con l’avallo dell’Unione e nonostante il voto contrario della Cdl si formò il gruppo della Rosa nel pugno, cui mancavano tre deputati aperraggiungere il numero minimo necessario.
L’orientamento dell’allora presidente Bertinotti fu derminante allo stesso modo anche per la formazione del gruppo dei Verdi, che avevano in aula solo sedici eletti, per il Partito dei comunisti italiani, con sedici seggi, e per il fu Udeur di Clemente Mastella che in quel tempo era a capo di una pattuglia di quattordici deputati. In aria di svendita generale, riuscirono a costituire il gruppo anche i sei onorevoli del Dc-Psi.