di Stefano Sansonetti
Nella comunicazione ufficiale, come accade quasi sempre in circostanze del genere, al dettaglio “diabolico” sono state dedicate poche e timidissime righe. E così, quasi di sfuggita, si viene sapere che la Cassa Depositi e Prestiti ha orchestrato una bella riduzione di capitale della controllata Sace: da 4,3 a 3,5 miliardi di euro. La differenza, ovvero 800 milioni, è stata fagocitata direttamente dalla società controllata all’80% dal Tesoro e guidata dall’Ad Giovanni Gorno Tempini. Naturalmente la comunicazione ufficiale, affidata alla Sace, la società di assicurazione dei crediti all’export, nulla dice circa la vera ratio dell’operazione. Il fatto è che il bilancio della Cdp, società che gestisce una raccolta postale di 244 miliardi appartenenti ai risparmiatori italiani, è a dir poco sotto pressione e ha bisogno di essere continuamente puntellato. E così, mettendo una pezza a una delle più finte e inutili privatizzazioni degli ultimi anni, la Cdp scarnifica una sua controllata per cercare di garantire equilibrio ai suoi conti. Il tutto, tra l’altro, portando vantaggi a quel 20% di azionisti privati della stessa Cassa che sono le fondazioni bancarie. Non c’è che dire, un “piccolo” capolavoro perfezionato quasi in sordina nei giorni scorsi da parte della società “baricentro” di tutte le principali operazioni economiche del paese.
IL QUADRO
Anche stavolta la Cdp ha azionato la sua “idrovora”. Il fatto è che ancora a fine 2014 la Cassa risultava avere in pancia un patrimonio netto di 18,5 miliardi (cioè le vere risorse che possono essere considerate sue) e partecipazioni che ne valgono 32,7. Uno squilibrio che non sarebbe consentito a nessuna banca. Per rafforzare il patrimonio, allora, la Cdp sta aspirando risorse da alcune sue (un tempo ricche) controllate. Tempo fa è avvenuto con Fintecna. Adesso è il turno di Sace, guidata dall’Ad Alessandro Castellano. Per carità, contemporaneamente la stessa Sace ha fatto sapere di aver deliberato l’emissione di un prestito obbligazionario subordinato. Ma il quadro di riferimento non cambia. E prende le mosse da quando il governo di Mario Monti realizzò una privatizzazione finta e inutile. Per poco meno di 10 miliardi di euro la Cdp rilevò dal Tesoro il 100% di Sace e Fintecna e dallo Sviluppo Economico il 76% di Simest. Privatizzazione, dicevamo, per modo di dire, visto che a pagare era una società comunque pubblica come la Cassa, seppur non inserita nel bilancio pubblico. Il tutto con risultati certo non passati alla storia, se solo si pensa che il debito pubblico non ha mai smesso di salire da allora fino ad oggi (arrivando alla soglia record di 2.200 miliardi di euro). Di sicuro quell’operazione portò in dote a Cdp altre partecipazioni che hanno contribuito ad alterare gli equilibri di bilancio. Oggi la Cassa ha in pancia un sacco di roba: Eni, Terna e Snam (tramite Cdp Reti), Fintecna, Sace, Simest, Fondo Strategico, F2i, Fondo italiano d’investimento e chi più ne ha più ne metta. Un totale, come detto, di 32,7 miliardi, insostenibili rispetto ai “soli” 18,5 miliardi di patrimonio. Una realtà certificata nel lontano 2012 anche dalla Banca d’Italia, con un’ispezione a via Goito passata letteralmente in sordina.
LA CONSEGUENZA
Per questo Cdp è costretta a drenare le risorse delle società pubbliche controllate come Fintecna e Sace. Da tutto questo non derivano certo vantaggi per i contribuenti italiani. Semmai ne arriva qualcuno per le fondazioni bancarie, che però sono azionisti privati della Cassa. Tra l’altro la fame di risorse dalla società presieduta da Franco Bassanini non si limita a questo. Non è una novità che Cdp stia preparando un’emissione obbligazionaria presso la clientela retail. Ma nei corridoi di via Goito qualcuno si sta facendo anche altre preoccupate domande sulle prospettive di tenuta dei conti della società. Con questi tassi così bassi, si sta chiedendo, siamo proprio sicuri che Cdp possa dormire sonni tranquilli?
Twitter: @SSansonetti