di Sergio Patti
Pagare le imprese che lavorano per lo Stato? Un gesto di dignità. Immettere liquidità nel sistema? Non c’è compito più doveroso per la Cassa Depositi e prestiti. Dare un governo al Paese? E’ necessario, purché consenta di incidere profondamente sui vincoli che bloccano lo sviluppo. Una politica che tira a campare? Basta! Ha irritato la gente. E le imprese non ne possono più.
Mentre i leader politici entrano ed escono dal Quirinale, molti con le idee sempre più confuse, il mondo delle imprese invece sa benissimo quello che vuole, quello che serve alla crescita e quello che andrebbe fatto subito per dare un futuro all’Italia. E Ivan Malavasi, a capo della Cna – la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa – ha un elenco pieno di proposte. Idee che hanno bisogno di un interlocutore – il governo – ma prima ancora di coraggio e capacità di ascoltare la fascia più laboriosa e produttiva del Paese.
Domanda. Napolitano sta provando a tirar fuori un governo contro ogni logica dei numeri in parlamento. Se anche ce la farà, il rischio che si tratti di un esecutivo con poco respiro è altissimo. Vi preoccupa?
Risposta. “A prescindere che un governo serve e serve subito, le cose da fare sono talmente urgenti che ogni percorso tattico e semplicemente irritante per la gente. Certo, saremmo contenti se potessimo avere un esecutivo politicamente forte, solido e duraturo. Ma l’esito delle elezioni non fa prefigurare un tale epilogo. E il tempo che stiamo perdendo mentre i partiti fanno i loro giochi continua a irritare la gente. Monta la rabbia che c’è negli imprenditori, e monta la rabbia tra la gente, per non parlare della diffidenza”.
D. Cosa si aspettano le imprese?
R. “Mica un governo che riesca a cambiare il mondo! Purtroppo. Ma una proposta politica decorosa, questa sì. E un governo che faccia perlomeno tre cose”.
D. Quali?
R. ”Premesso che occorre operare in un arco temporale brevissimo per dare ossigeno a un’economia che sta morendo – e non è catastrofismo – lo assicuro, la priorità è abbassare la pressione fiscale. Oggi il fisco sta uccidendo le imprese. La seconda priorità è rimettere in moto i consumi, tornati ampiamente sui livelli del secolo scorso. Dunque occorre ridurre il cuneo fiscale e lasciare più soldi in tasca a chi lavora”.
D. Ha detto niente! E i soldi per farlo chi li mette?
R. “Nessuno può nascondere che servano sacrifici. Ma il problema non ha solo un aspetto, diciamo così, contabile. Senza tirar fuori risorse nuove, vogliamo fare il conto di quanta ricchezza si potrebbe creare con un ammodernamento dello Stato? Un ammodernamento a tutto tondo, a partire da una Costituzione che va aggiornata. Il più grande problema per le imprese, insieme ai soldi che non circolano, è un sistema che ha troppi livelli decisionali, è l’incertezza cronica su ogni tipo di decisione, è la continua ricattabilità di un potere con un altro. E l’ingovernabilità. Ma si faccia la legge elettorale che si vuole! Purché, anche con un solo voto in più di chi perde, ci sia chi possa governare”.
D. La terza priorità?
R. “Sburocratizzare. E far girare i soldi nel Paese. Che poi sono due aspetti collegati tra loro, perchè qui l’emergenza è sbloccare i pagamenti delle pubbliche amministrazioni. Un tema sul quale sono anni che ce ne raccontano di tutti i colori, ma poi non si fa mai un passo avanti. Con il ministro Passera eravamo arrivati a sboccare appena qualche miliardo; meno di una mancia. Poi è arrivata la promesa di 20 miliardi su un totale che nemmeno lo Stato riesce a quantificare. C’è chi parla di settanta miliardi, chi di cento. Incredibile! Ma uno Stato che non paga e mette una montagna di tasse, e per di più se non paghi le imposte nei termini stabiliti ti carica di interessi mostruosi, che Stato è? Pagare i fornitori è un dovere. Se le manutenzioni sono a regola d’arte, se le pulizie sono fatte bene, se le forniture arrivano in tempo, la gente va pa-ga-ta. Siamo l’unico Paese al mondo dove le imprese sono trattare così. E dirò di più: deve pagare lo Stato, devono pagare le amministrazioni periferiche, ma devono pagare nei termini anche le società pubbliche. Aziende con ricchi bilanci che, tanto ormai è di moda, pagano “a babbo morto”. Una vergogna”.
D. Sì, d’accordo. Ma avete una proposta per cambiare queste abitudini?
R. “Sì. Lo Stato quando trasferisce le somme di competenza, deve obbligare i Comune a non spedere un euro se prima non si saldano i vecchi debiti. Guardi, non è difficile da mettere nero su bianco. E stabilire un criterio blindato nei pagamenti, che consideri prioritariamente i tempi di attesa dei creditori. Un decreto così può farlo anche un bambino. Anzi, sarebbe quasi meglio che a farlo fosse un bambino, perchè ne abbiamo visti tanti di decreti incomprensibili e tortuosi…”.
D. Resta il fatto che le cifre in ballo sono ingentissime. Dove si prendono?
R. “Lo so che è la cassa del miele dove tutti vogliono farsi la bocca. Ma noi abbiamo una Cassa Depositi e prestiti che tutti voglioni utilizzare per risolvere i problemini loro. Ma esiste un compito più doveroso per tale Cassa che mettere in circolo le risorse necessarie a far ripartire il Paese?”.
D. Le banche non la pensano come lei…
R. “Io non sono un nemico delle banche. Quando il sistema stava per saltare mi sono speso perchè ciò non avvenisse. Il prezzo da pagare per le piccole imprese sarebbe stato altissimo. Adesso però dico che le priorità sono altre. I soldi vanno messi in circolo”.
D. Il sistema è al collasso. E lei lo sa bene percè parla ogni giorno con la “pancia” del Paese. Cosa le dicono nelle assemblee gli iscritti alla sua confederazione?
R. “Dicono che hanno paura. Non solo perchè non c’è la crescita. Ma soprattutto perchè non vedono uno sbocco per i giovani. E un Paese che non dà prospettive ai suoi giovani è un Paese diretto verso il disastro. Per questo la Cna chiede un grande sforzo progettuale. Un’idea? Partiamo dal recupero delle città. Basta con lo sprecare il territorio. Ma nei volumi immensi delle aree deindustrializzate si potrebbe fare tantissimo. Pensiamo alle aree Falck a Milano o a Bagnoli…”.
D. Più facile a dirsi che a farsi…
R. “Certo. Con le leggi che abbiamo è così. Ma dobbiamo cambiare. Anche perchè chi fa impresa non ce la fa più. E a questi imprenditori lo Stato deve precise risposte. Faccio io per primo una domanda: ma tutti i soldi recuperati con la lotta all’evasione – e non sono pochi – dove sono andati a finire? Iniziamo a recuperare queste risorse. E teniamo in vita il sistema mutuale che ha fatto vivere per decenni migliaia di imprese. Il sistema dei Confidi, dove Cna è stata apripista in Italia, va sostenuto con risorse nuove e abbondanti. Anche per affrontare un altro grandissimo problema per tanti artigiani e imprenditori: la solitidine. Una disperazione che, abbiamo visto, spesso uccide”.
D. Vuol dire che insieme a quello economico c’è anche un problema di tipo di tipo sociale da affrontare?
R. “Sì. Il silenzio attorno a chi fa impresa è diventato assordante.
Non si può chiedere agli imprenditori di risolvere ogni genere di problemi. Stare dalla parte della crescita significa dare a questo mondo risposte serie”.