C’è voluta la disfatta elettorale, l’ennesima, a far capire a Franceschini che il Pd ha un grave problema di “antipatia”. L’ex segretario la mette così: «Credo che il Partito democratico debba togliersi un po’ di quell’aria di superiorità. A volte abbiamo una presunzione tale da pensare che dovremmo sceglierci anche gli avversari».
E ha ragione, perché quell’aria di superiorità, che plasticamente si riassume in D’Alema quando fa il musetto “a culo di gallina”, è davvero antipatica. Terribilmente e irrimediabilmente antipatica. Una posa, quella da caminetto super elitario, che ammorba il Partito democratico e che è evidentemente infettiva. E che per di più si trasmette in modo ereditario. Dev’essere così, perché anche tra i più giovani si registra il fenomeno: l’allele recessivo dà l’idea di una generazione pronta al cambiamento, ma alla meglio gioventù turca restano tutti i tratti di quella supposta superiorità che rende anche le nuove leve inavvicinabili e urticanti. Insomma, antipatiche.
Franceschini s’è dovuto far crescere tanto di barba prima di rendersene conto. Ma non è mai troppo tardi. Ora dice che «E’ un atto di presunzione pensare che parlare e confrontarci con Berlusconi e con la Lega equivalga a sporcarci le mani». D’accordo, non ci facciamo illusioni, sappiamo che è sangue versato sull’altare della resa dei conti interna: perché il presuntuoso di turno, quello cui Franceschini si riferisce, è evidentemente Bersani. Ma quello che stilla dalla finta autocritica dell’ex segretario del Pd è comunque sangue che colora una sacrosanta verità.
E la verità spesso, manco a dirlo, è antipatica.