di Valeria Di Corrado
Appena approvata si è già trovato il modo per “girarci attorno”. Non è certo questo il piede giusto per iniziare un percorso di trasparenza nella pubblica amministrazione. La legge anticorruzione (n.190 del 6 novembre 2012), entrata in vigore il 28 novembre 2012, dopo un lungo e travagliato percorso in Parlamento, ha introdotto numerosi strumenti per la prevenzione e la repressione del fenomeno corruttivo, che rischiano di restare lettera morta.
Il testo prevede che entro il 31 gennaio di ogni anno le amministrazioni centrali e gli enti locali adottino il piano triennale di prevenzione della corruzione. In via eccezionale, trattandosi di una prima applicazione, il termine per quest’anno era stato spostato al 31 marzo. Peccato però che la Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle pubbliche amministrazioni (Civit) abbia specificato, a tre giorni dalla scadenza, che non si tratta di un termine “perentorio”. Con la scusa che tanto il Piano nazionale, che dovrebbe dare le direttive da seguire, non è ancora stato elaborato. Il Civit, l’organo incaricato di controllare l’applicazione della legge anticorruzione, è in pratica il primo a chiudere un occhio. La legge 221 del 17 dicembre 2012 ha tra l’altro rafforzato l’Autorità nazionale anticorruzione, prevedendo che il presidente venga scelto su proposta del Ministro della Giustizia, il Ministro dell’Interno e quello della Pubblica amministrazione, tra persone notoriamente indipendenti e che hanno avuto esperienza nel contrasto alla corruzione. Ad oggi il Civit è presieduto da Romilda Rizzo, che il 29 marzo 2012 è succeduta ad Antonio Martone. Tra i membri del passato spicca anche il nome di Filippo Patroni Griffi, attuale ministro per la Pubblica Amministrazione. Il responsabile dello stesso dipartimento della funziona pubblica che, assieme al Civit e al comitato interministeriale, ha il compito di dare attuazione alla legge anticorruzione.
Il Civit, nell’attesa, invita le singole amministrazioni a procedere con la mappatura del rischio negli uffici più esposti, a disporre procedure per selezionare e formare i dipendenti e a introdurre opportune forme di rotazione. Tutto questo sotto il coordinamento del “responsabile della prevenzione”. Peccato però che, ad oggi, di responsabili ne siano stati designati ancora pochi. Negli enti nazionali spetta all’organo di indirizzo politico sceglierli, mentre negli enti locali questa figura di norma coincide con il segretario. In entrambi i casi si sta ancora in alto mare. Fino a questo momento su 86 amministrazioni centrali, tra Ministeri, enti parco e istituti di ricerca, mancano all’appello ancora 23 responsabili. Non vanno meglio le cose nelle Regioni, nelle province autonome di Trento e Bolzano e negli enti locali: finora sono stati nominati poco più di 450 segretari. In sostanza, uno strumento prezioso per contrastare la sempre più dilagante corruzione negli organi pubblici viene ritenuto procrastinabile. Nonostante il comitato interministeriale lo scorso 16 gennaio aveva ribadito come “le preoccupazioni per l’integrità pubblica sono alla base della mancanza di fiducia nella pubblica amministrazione. E’ evidente che così non si fa altro che alimentare l’antipolitica. Poi non c’è da meravigliarsi se il “Grillo” di turno riesce a incantare con il suo canto un numero così ampio di cittadini-elettori.