di Carlotta Scozzari
Sul progetto di trasformazione in società per azioni (Spa) della Banca Popolare di Milano si gioca l’intero futuro della stessa Popolare meneghina. Il presidente del consiglio di gestione, Andrea Bonomi, sta scommettendo il tutto per tutto: l’obiettivo è far passare, e soprattutto accettare, la grande novità che rivoluzionerà la governance dell’istituto di Piazza Meda e che dovrebbe essere già sottoposta all’assemblea straordinaria degli azionisti in calendario per la fine di giugno.
La partita è delicatissima, tanto è vero che persino i sindacati, tradizionalmente – almeno fino all’arrivo di Bonomi – molto potenti in Bpm e abituati a fare “il bello e il cattivo tempo”, questa volta hanno adottato un atteggiamento improntato al basso profilo. Non hanno fatto rumore, non si sono opposti, né hanno trasmesso alla stampa comunicati al vetriolo contestando il progetto di trasformazione in Spa.
Sigle in manovra
Eppure, secondo quanto risulta a La Notizia, le sigle interne alla banca, proprio in questi giorni, sarebbero in pressing per chiedere a Bonomi un incontro chiarificatore sui dettagli di un progetto che porterebbe a un radicale mutamento della Popolare di Milano. Il problema, tuttavia, è che, come spesso accade in questi casi, i sindacati non solo non sarebbero allineati sulle modalità con cui confrontarsi con l’azienda sul tema, ma sembra addirittura che alcuni siano a grandi linee favorevoli al progetto di trasformazione in Spa sostenuto da Bonomi. Una complicazione che non fa che aiutare il presidente del consiglio di gestione di Bpm ad andare avanti spedito per la sua strada. Non a caso, Bonomi, in una recente intervista a Repubblica, affermava di non aver paura di un voto libero sulla trasformazione della Bpm in società per azioni. La proposta, che – annunciava . verrà portata in assemblea entro l’estate, porterà benefici a tutti, a cominciare dai dipendenti. Questi non solo potranno ricevere il 10% della banca, ma la loro Fondazione disporrà di una dote di 10 milioni, cui si aggiungerà il 5% degli utili netti dell’esercizio precedente. Ma se qualcuno si oppone a qualunque cambiamento – avvertiva il presidente del cdg di Bpm – e pensa di organizzare delle barricate sappia che l’attuale governance è determinata a completare il progetto di fare della Bpm “la più bella banca territoriale italiana”.
Voto capitario
E’ chiaro che nel caso in cui il presidente dell’istituto milanese di Piazza Meda volesse vendere la propria partecipazione dell’8,6%, detenuta attraverso diversi veicoli che fanno capo al suo fondo di private equity Investindustrial, la trasformazione in Spa non farebbe che semplificare le cose. Un conto, infatti, è cedere quote di un istituto che funziona a voto capitario, ossia secondo il principio che una testa vale un voto; altra cosa è vendere partecipazioni di una Spa, dove, almeno in linea di principio, si dovrebbe avere tanto più potere quante più sono le azioni in portafoglio. Il progetto di trasformazione in Spa approderà all’assemblea straordinaria del 21 e 22 giugno, quando i soci saranno anche chiamati a deliberare sull’aumento di capitale da 500 milioni che si è reso necessario per rimborsare le obbligazioni Tremonti bond. C’è chi teme che in qualche modo le operazioni possano essere legate a doppio filo, in modo che se salta una, la stessa sorte debba toccare all’altra. E se non dovesse concretizzarsi l’aumento di capitale, il rischio è che in Bpm torni di nuovo a suonare il campanello la Banca d’Italia, come era già accaduto nell’era dell’ex presidente Massimo Ponzellini.
Uno scenario, quest’ultimo, che ovviamente allarma già i mercati, nelle ultime settimane particolarmente nervosi sul titolo dell’istituto. Bonomi però non mostra segni di cedimento. Ben sapendo che riuscire nell’operazione di trasformazione della banca in Spa costruirà valore per Bpm. E traccerà un percorso nuovo per tutto il sistema delle popolari italiane.