di Alessandro Barcella
Mancano 764 giorni all’apertura di Expo 2015. Un conto alla rovescia che inizia a suscitare un leggero malessere, con le voci di ritardi che si susseguono e si alimentano sempre di più. Un malessere che non sembra tuttavia toccare più di tanto i vertici, che scelgono sapientemente di spostare l’attenzione sulla “campagna acquisti” in corso. Parliamo delle nazioni che hanno deciso di aderire all’Esposizione Universale e dell’obiettivo che la società organizzatrice si è data. Un traguardo, raccontato più volte con orgoglio tanto dal commissario generale Roberto Formigoni quanto dall’a.d. di Expo 2015 SpA Giuseppe Sala, che è quello dei 130 partecipanti. Vista così la corsa appare destinata al successo: pochi giorni fa il numero delle adesioni, infatti, è salito a 125.
Ma ogni medaglia ha sempre il suo rovescio e allora non si può non notare che sono ancora 73 i Paesi del Mondo che al momento dicono No. Piccole realtà marginali? Non proprio, se consideriamo che questi paesi rappresentano una popolazione complessiva che sfiora i 2 miliardi di persone. Se poi scorriamo la lista delle nazioni assenti, la cosa si fa ancora più evidente. Al momento infatti, nonostante un pressing di queste ultime settimane, nessuna traccia degli Stati Uniti, né di Paesi popolosi e importanti quali Australia, Inghilterra e Canada. Hanno detto sinora no ad Expo anche diversi altri paesi del Vecchio Continente, tra cui Portogallo e Svezia, Grecia e Lussemburgo, Finlandia e Olanda. Consoliamoci tuttavia con l’ingresso numero 125, di cui vi abbiamo parlato all’inizio. L’accordo è stato sottoscritto e trionfalmente comunicato il 22 marzo scorso: benvenuta allora alla Repubblica Centrafricana. Ma la partecipazione ad Expo 2015 non deve aver portato molto bene al governo di Bangui, che appena due giorni dopo viene rovesciato da un colpo di stato dei militari, che ne saccheggiano la capitale .
Il presidente Francois Bozize è ora in fuga, e crediamo abbia ben altro per la testa che l’organizzazione del proprio stand tra gli spazi di Rho-Fiera.
Battute a parte, cominciano ad emergere in modo meno episodico ragionamenti sul rischio ritardi o addirittura annullamento.
Lo stesso Giuseppe Sala pochi giorni fa , in occasione della presentazione del progetto del nuovo Infopoint di Largo Cairoli, ha garantito un’accellerazione dei lavori: “Dall’inizio dell’anno, a causa delle avverse condizioni atmosferiche, abbiamo perso almeno 13 giorni di lavoro – ha spiegato Sala -. Per questo abbiamo deciso che, con la bella stagione, faremo i doppi turni nei lavori previsti sul sito espositivo”.
Nonostante questo c’è chi rammenta la possibilità di uno slittamento o di una rinuncia, come accadde nel 1989 per la Parigi di Francois Mitterand.
Altre voci si domandano se, nel caso di uno slittamento nella data d’avvio o di una cancellazione, la seconda arrivata (la turca Smirne) abbia diritto a richiedere il pagamento di una sostanziosa penale. Uscire adesso?
Costerebbe 51.6 milioni di Euro (più le penali per gli appalti già partiti).
Tutto sommato un buon affare, perché ritardare oltre il mese di aprile 2013 farebbe lievitare questo importo a 119 milioni. Arrivare sotto data e scoprire che le opere sono ancora troppo indietro?
Un disastro economico e di immagine, che Milano e l’Italia non possono certo sopportare. Ricordiamo infine che nel 2017 il Kazakistan e la sua capitale Astana ospiteranno a loro volta un Expo: il rischio di sovrapposizioni, a causa delle lungaggini di Milano, fa ora tremare i polsi a più di una persona.