di Raffaele Iannuzzi
La questione è di quelle che, un tempo, avrebbero meritato l’etichetta di rompicapo, parola dall’etimo incerto, ma suggestiva: perché la magistratura, da ordine, come recita il dettato della Costituzione (art. 104), è diventata un potere vero e proprio?
Dagli anni ’70 del secolo scorso, tutti danno per scontato che, di fatto, la magistratura sia un soggetto attivo nella società, con una finalità strategica da realizzare attraverso la produzione di sentenze “in nome del popolo italiano”. Questo è il dato nudo e crudo. Perché la magistratura, già da allora, era un soggetto rivoluzionario che si era autoimposto la “mission” di cambiare la società, favorendo il clima di movimentismo diffuso in quel periodo. Dunque, alla faccia dell’ordine “autonomo e indipendente da ogni altro potere”.
Non si può essere indipendenti quando si ha in testa di realizzare un certo disegno strategico-politico; non si può essere autonomi e indipendenti, quando “ogni altro potere” deve temere il mio potere. E qui emerge il paradosso italiano: un ordine che diventa potere. Una realtà sovraordinata di fatto alla legge che, gestendo la legge, diventa facoltà di far chiudere l’Ilva, chiudere centrali nucleari, favorire il timing di questo anziché quell’altro processo a questo anziché quel personaggio politico, sbaragliare di netto perfino la scienza, come nel caso del cosiddetto mancato allarme in occasione del terremoto in Abruzzo. Insomma: una volta, il diktat veniva da un’autorità sacrale rivestita di potere politico, oggi tutto questo è sintetizzato nella magistratura, l’unica realtà in cui tutti devono dichiarare di “avere piena fiducia”, come in Dio, pena la decapitazione anticipata.Negli anni ’70, l’ordine della magistratura era potere nel clima dei cambiamenti della società. Oggi lo è nel clima dei mancati cambiamenti della società. Ma l’esito è lo stesso: tutti sotto schiaffo. In realtà, la magistratura ha operato con una tattica, ad entrata ed uscita. Da un lato, entra la “materia” proveniente dalla società, oggi il politico o il manager; dall’altro, esce la sentenza che bolla a vita quel modello di economia o quella specifica forza politica, così da condizionare l’esito delle riforme nella società. E chi si giova di questo giocattolo simile ad un’arancia meccanica legalizzata è proprio quell’ordine “indipendente da ogni altro potere”, in quanto potere esso stesso.
Del resto, il vuoto non esiste né può reggere più di tanto, né nella realtà naturale, né in quel movimento liquido e coagulante insieme che si chiama storia. Qualcuno, prima o poi, lo riempie. Di sentenze e procedimenti. E, mentre ciò accade, una parte della politica – anch’essa toccata da questo “ordine” – fa come quel tal marito che, per far dispetto alla moglie, si evirò. Non fare nomi è il modo migliore per farlo, a ragion veduta.