di Aldo Forbice
Alla fine Giorgio Napolitano darà un incarico (entro domani) e quasi sicuramente a Pierluigi Bersani, anche se “esplorativo”. Non potrebbe fare diversamente: sarebbe uno schiaffo al leader del Pd, impegnato da molti mesi in questa battaglia personale per la conquista di palazzo Chigi.
E’ però altrettanto certo che Bersani non ce la farà. Infatti, anche se riuscirà a convincere Monti e i montiani (sono infatti due cose diverse), a sostenere un esecutivo; anche se dovesse farcela (cosa molto improbabile, come è stato ripetutamente dichiarato da Beppe Grillo) a coinvolgere il M5S, accogliendo qualche loro proposta, sarebbe impossibile, per tutte le dinamiche politico-parlamentari che ormai conosciamo, reggere più di quattro-cinque mesi.
Ma probabilmente è proprio questo il vero obiettivo di Bersani: quello di fare comunque un governo, anche con la fiducia della sola Camera. A quel punto Napolitano (ancora in carica), non potendo sciogliere nuovamente il parlamento, avrebbe solo una strada: dare un incarico istituzionale (Pietro Grasso), col sostegno anche esterno di Pd, Pdl e Scelta civica, per la formazione di un” governo di emergenza” che affronti i gravi problemi economici del paese e la riforma elettorale, per andare alle elezioni. Nel frattempo sarà eletto il nuovo presidente della Repubblica.
Un ingorgo istituzionale che, per la verità, non ha molte alternative e su cui si innestano strategie politiche, di partito e personali mai viste prima. Infatti, tutto è diventato più difficile, non solo perché non abbiamo un vero vincitore delle elezioni politiche (un terzo, un terzo, un terzo, più il 10% non risolutivo di Monti) che ha finito col paralizzare l’intero sistema, ma anche perché tutti hanno paura di tutti: il Pd non vuole allearsi col Pdl perchè teme di essere giudicato negativamente dall’elettorato; un discorso analogo vale per i grillini (nessuna alleanza organica, solo un voto sui singoli provvedimenti , volta per volta); i più “disponibili” continuano ad essere i montiani e il Pdl perché temono l’emarginazione.
E poi forse pensano – e i sondaggi danno loro ragione – che il tempo possa giocare a loro favore, in una prossima competizione elettorare. Del resto, mentre il gruppo dirigente bersaniano (lo ha confermato Stefano Fassina a “Porta a porta” ieri sera) si è arroccato dietro i soliti slogan antiberlusconiani, con argomenti che esistevano già ai tempi del governo Monti ed oggi strumentalmente rispolverati, il Pdl, per tornare in gioco, si attesta sulla estrema urgenza di attuare riforme, con provvedimenti economici che diano fiducia agli imprenditori e agli investitori. Il vero problema è dunque l’economia, “la priorità delle priorità”, ha detto ieri mattina il presidente della Confindustria alla radio.
Lo Stato si impegni subito, ha detto Giorgio Squinzi, al pagamento di una prima trance di 48 miliardi di debiti alle imprese (che potrebbe rappresentare l’assunzione di ben 250 mila lavoratori).
Tutto il resto sono chiacchiere, non inutili, ma certamente rinviabili. Diversamente la “minaccia Cipro”, cioè la tassazione dei conti correnti del 10-15%, congelata nell’isola del Mediterraneo, potrebbe tornare d’attualità, sostenuta dalla Germania. Un fantasma che si agita anche in Italia e che certo non aiuta la ripresa.