di Gaetano Pedullà
Non c’è un piano B. E neppure un piano A. L’uscita di Bersani ieri dal faccia a faccia con il presidente della Repubblica ha chiarito le idee anche a chi le aveva più confuse. Se va bene si naviga a vista. E stato lo stesso leader del Pd ad ammetterlo: fare un governo ha senso solo se potrà dare il segno di un cambiamento. I numeri però sono sempre di più argomenti testardi. Grillo resta su un suo virtuale Aventino, fare l’alleanza con Berlusconi vuol dire inciucio e il Pd da solo non va da nessuna parte.
Dunque Giorgio Napolitano questa notte ci ha dormito su e oggi ci dirà se c’è o no un coniglio da tirar fuori dal cilindro. Su questo giornale lo diciamo da giorni. Fare un governo non è un fine, ma un mezzo per affrontare i grandi problemi e – sosteniamo noi – le riforme urgentissime che servono al Paese. Può un esecutivo che – comunque vada sarà fragilissimo – fare queste riforme? La risposta è no. Da qualche giorno questo giornale ospita le interviste a importanti capitani d’industria, manager che chiedono un governo comunque sia per risolvere almeno due problemi. Cambiare la legge elettorale e sbloccare i pagamenti che lo Stato e gli enti locali devono ai loro fornitori.
Su questo punto ieri il premier uscente Monti ha promesso 20 miliardi su 70. Una mancia. Dunque, senza un governo vero, legge elettorale (chi la fa?) e interessi delle imprese sono affidati al nulla. Nel frattempo i furbi continuano a fare gli affari loro (incredibile la vicenda raccontata dal nostro Sansonetti, con gli incarichi decisi ancora in questi giorni dai ministri uscenti) e se qualcosa si fa è solo di facciata. Stupendo come la stampa addormentata ha beatamente ignorato lo scoop fatto ieri da questo giornale. La rivoluzione siciliana, che ha abolito le nove province, porterà alla creazione di 35 nuovi consorzi. Scommettiamo che costeranno un botto più di prima?