di Andrea Koveos
Un dossier completo, verificato, firmato; con tanto di foto. La denuncia arriva da un imprenditore che, prove alla mano, dimostra come molte cave di travertino romano nel territorio di Guidonia violino le leggi in materia ambientale e fiscale. L’amministrazione comunale non solo ne prende atto ma trasmette tutto alla Procura della Repubblica di Tivoli.
Le irregolarità sono molte e gravi. Andiamo per ordine. Prima di tutto le autorizzazioni a scavare non esistono e le aziende del settore continuano a non pagare quanto dovuto alle casse pubbliche. Dal reportage – denuncia risulta in maniera inequivocabile che le attività estrattive sono del tutto fuori controllo.
Tanto per dirne una, i permessi regionali riguardano esclusivamente la produzione di pietre ornamentali e la vendita dei soli blocchi di travertino, con l’obbligo del riutilizzo dei restanti materiali di scarto da lavorazione per le operazioni di ripristino ambientale. La sequenza fotografica, che riportiamo, dimostra come tutti i materiali non utilizzabili, i cosiddetti sterili, siano in realtà lavorati in loco e venduti illegalmente, come materiali inerti, su tutto il territorio regionale.
Ciò spiegherebbe la presenza di impianti di frantumazione e vagliatura all’interno delle cave, mai, salvo una eccezione, autorizzati dal Comune. Dunque, in base alle norme regionali vigenti, le attività estrattive dovrebbero versare non soltanto i 2 euro per ogni metro cubo di pietra ornamentale estratta, ma anche i 30 centesimi a metro cubo per gli inerti venduti.
Un danno per le casse comunali di decine di milioni di euro, stando alla grande quantità di materiale di scarto, venduto in nero. Una situazione di totale anarchia che ha permesso a numerosi imprenditori di arricchirsi senza alcun freno. Il settore del travertino, solo nel Lazio, produce il 5% del Pil regionale. I fatturati dei cavatori sono stellari per milioni e milioni di euro. I clienti che usufruiscono del prezioso materiale rappresentano il gotha dell’edilizia nazionale, con interessi estesi anche su importanti organi di stampa, che non hanno alcun interesse a innescare una bomba ad orologeria che potrebbe compromettere non solo copiosi giri d’affari ma anche centinaia di posti di lavoro.
Il dossier è spietato, circostanziato, informato.
Il coraggioso imprenditore ricorda nella sua denuncia che la Regione Lazio ha la facoltà di rilasciare le autorizzazione per la sola estrazione delle pietre ornamentali, mentre spetta ai Comuni, qualora lo ritengano, dare via libera alla autorizzazione di secondo livello per la frantumazione e la lavorazione dei materiali di scarto che avviene attraverso appositi impianti. Tali strutture possono operare per la durata della concessione regionale, scaduta la quale le imprese sono obbligate a rimuovere i macchinari.
Il cavatore, inoltre, è obbligato ad assicurarsi contro eventuali danni ambientali, che le attività di escavazione potrebbero causare, presentando una fidejussione bancaria finalizzata a coprire le spese necessarie al ripristino dei luoghi.
Ma questo negli ultimi dieci anni non è mai accaduto. Le leggi ci sono ma nessuno si è preoccupato di rispettarle o di farle rispettare. Almeno fino ad oggi.
Per l’unica ma semplice ragione che gli interessi economici degli imprenditori del travertino sono stati ben tutelati nelle sedi che contano. Basti pensare che Filippo Lippiello, uno degli imprenditori più conosciuti della zona, proprietario della Società del Tavertino romano, ha fatto il sindaco dal 2005 al 2009, passando tra l’altro attraverso diverse compagini politiche: dal Partito democratico, alla lista Monti, passando per l’Api di Francesco Rutelli.
Oggi è consigliere comunale al Comune di Guidonia e c’è da scommettere che difenderà i suoi interessi e quelli del consorzio dei cavatori, di cui è il presidente, con il coltello fra i denti.
Un far west, quindi, che ha trovato terreno fertile soprattutto negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della legge 17 del 2004 (disciplina organica in materia di cave) quando appunto a sedere a palazzo Guidoni c’era il sindaco imprenditore.
Oltre alla normativa in vigore, per la costruzione e l’avviamento di un impianto di seconda lavorazione, è necessaria l’autorizzazione della Provincia di Roma relativamente all’impatto ambientale e al controllo delle emissioni nell’atmosfera.
Mentre la competenza sulla verifica di tali impianti non è soltanto della Polizia mineraria della Regione (cui spettano comunque i controlli sulle attività estrattive autorizzate dalla stessa Regione), ma anche del Comune, della Provincia per l’inquinamento atmosferico, della Asl di competenza per i luoghi di lavoro e l’ambiente.
Dalle verifiche comunali effettuate nell’ultimo anno risulta che un solo impianto è autorizzato dal Comune, quindi in regola, mentre tutti gli altri non sono stati autorizzati né dal Comune né tanto meno dalla Provincia di Roma.
Stiamo parlando di 47 cave, su un territorio di appena 400 ettari. Una realtà, tutt’altro che statica, fortemente impattante e non solo sotto l’aspetto visivo. Paletti precisi che delimitano l’attività estrattiva ci sono, eccome. Ma a Guidonia Montecelio risultano essere state completamente disattesi.
Il cavatore, tanto per citare un altro esempio, deve presentare nel mese di giugno, una perizia giurata sottoscritta da un professionista abilitato, nella quale vengono quantificati i materiali venduti. Questo atto è necessario per calcolare l’importo del tributo ambientale da corrispondere.
Tale perizia, deve essere controllata dal Comune e contestualmente l’azienda deve versare l’importo dovuto maturato nell’anno precedente. Dalle verifiche effettuate dai tecnici comunali, è risultato che soltanto alcune cave hanno presentato perizie, e che in molte di esse vengono computate solamente le pietre ornamentali.
Una situazione di totale illegalità. Sarà ora compito della magistratura accertare i fatti. Così doviziosamente contenuti nel dossier.