di Carlotta Scozzari
Fino all’altro ieri Giovanni Berneschi, 76 anni a luglio e nella banca dal 1957, era considerato il dominus incontrastato di Carige. Nell’istituto di credito genovese, non si muoveva foglia che il suo presidente – un’intera carriera nel gruppo forte di un diploma di ragioniere e perito commerciale – non volesse. Ma da quando, proprio negli ultimi tempi, Carige, un po’ per via della crisi e un po’ per questioni proprie, ha dovuto annunciare un rafforzamento patrimoniale da 800 milioni di euro, il vento sembra essere cambiato anche per il suo presidente. Al punto che sembrano ormai essersi incrinati anche i rapporti tra il banchiere e Flavio Repetto, l’ottantunenne a capo della Fondazione Carige, che controlla la banca della città della Lanterna con una partecipazione del 47 per cento.
L’aumento di capitale. Oggetto del contendere è l’aumento di capitale che Carige, verosimilmente nel giro di un anno, dovrà tradurre in pratica proprio nell’ambito del rafforzamento patrimoniale. Ora, l’ente primo azionista, rappresentato da Repetto, starebbe spingendo perché tale operazione fosse ridotta al minimo, possibilmente ad “appena” un centinaio di milioni. Per il resto, sempre dal punto di vista della Fondazione Carige, l’obiettivo del rafforzamento della capitalizzazione dovrà essere raggiunto attraverso massicce dismissioni di attività. Una posizione, quella dell’ente, che è stata accolta dal consiglio di amministrazione di Carige di due giorni fa che, dopo avere approvato un bilancio consolidato in perdita per il 2012 e zero dividendi, ha messo nero su bianco che l’aumento di capitale dovrà essere del minimo ammontare possibile e che la prima via per perseguire il rafforzamento patrimoniale sarà la cessione di asset.
Ciononostante, ieri mattina, a margine dell’esecutivo dell’Abi (Associazione bancaria italiana) che si è tenuto a Milano, Berneschi, interpellato dalle agenzie di stampa, ha dichiarato che l’aumento di capitale “sarà la metà del piano, pari a 400 milioni”. Parole che cozzano contro la posizione del cda, e in particolare della Fondazione Carige, di abbassare il più possibile l’asticella sulla ricapitalizzazione. Sempre ieri mattina, a Milano, in Borsa, appena dopo le dichiarazioni di Berneschi, il direttore generale di Carige, Ennio La Monica, si affrettava a ribadire alla comunità finanziaria, giornalisti compresi, che l’ammontare dell’aumento di capitale non è ancora stato deciso, ma che comunque l’intenzione del management della banca è di ridurlo al minimo.
Privilegiare le cessioni. La Monica ha, poi, confermato che in primo luogo saranno privilegiate le cessioni, a cominciare dalle controllate assicurative del gruppo (Carige Assicurazioni e Carige Vita Nuova), da cui conta di ottenere almeno 400 milioni.
Il braccio di ferro. Non solo: in una nota giunta ieri in tarda mattinata, il presidente Berneschi ha dovuto precisare, in forma scritta e “al fine di chiarire eventuali possibili fraintendimenti”, che “la linea della banca riguardo l’aumento di capitale è quella espressa dal comunicato stampa diffuso ieri (due giorni fa, ndr) e che sarà sottoposta all’assemblea degli azionisti del 29 aprile. Confido che l’importo dell’aumento di capitale sia il più possibile contenuto grazie alla dismissione di alcuni asset del gruppo”. Ma non si tratta dell’unica volta in cui le parole di Berneschi sono andate in direzione opposta rispetto alla posizione del consiglio di amministrazione. Nei giorni scorsi, dopo che già la banca in una nota risalente al 25 febbraio aveva annunciato il rafforzamento patrimoniale attraverso le cessioni di asset e un vero e proprio aumento di capitale, Berneschi aveva pensato bene di rilasciare una intervista alla stampa genovese in cui negava le dismissioni di attività. Non stupisce che qualcuno stia cominciando a ipotizzare che Carige possa presto separare la propria strada da quella del suo attuale presidente.