di Carmine Gazzanni
Partiamo da un dato: nel giro di un solo anno si è passati da un debito, pesante, di 15 milioni, ad un altro, colossale, di 50. C’è qualcosa, dunque, che non va. Soprattutto se si pensa che l’ente di cui stiamo parlando – la Croce Rossa Italiana – si sta avviando verso la privatizzazione. Secondo quanto stabilito dal decreto dell’ex ministro Renato Balduzzi, infatti, l’ente si scinderà in una bad company (ente pubblico) con il compito di liquidare i debiti, e una good company (ente privato) che sostituirà in tutto e per tutto la Croce Rossa così come oggi la conosciamo. Eppure, a leggere l’ultima relazione della Corte dei Conti pubblicata proprio in questi giorni, il lavoro di liquidazione non sarà affatto facile: se nel precedente rapporto si parlava di un bilancio in rosso (per l’anno 2012) di 15 milioni, per il bilancio 2013 si è arrivati ad buco di ben 50 milioni di euro.
IL BUCO
Ma entriamo nel dettaglio. Secondo quanto riportato dai magistrati contabili, “le risultanze finanziarie consolidate espongono un disavanzo delle Unità territoriali pari a € 24.471.809,74, e un disavanzo del Comitato centrale pari a € 26.244.135,69”. Pertanto, conclude la Corte, “l’Associazione chiude l’esercizio 2013 con un disavanzo finanziario consolidato pari ad € 50.715.945,43”. Insomma, tra sedi territoriali e unità centrale il danno è bello che fatto. Ma la relazione entra ancora più nello specifico. E così, scorrendo le pagine, scopriamo che gran parte del disavanzo è imputabile a precise unità territoriali.
MAGLIA NERA AL LAZIO
Lo si legge chiaramente nella relazione. “la situazione negativa della regione Lazio è da attribuire principalmente a quella del Comitato provinciale di Roma pari ad € 36.503.836,14”. Un debito enorme, dunque. Ma non è l’unica. Anche l’unità territoriale del Trentino presenta un risultato di bilancio negativo per oltre 5,5 milioni di euro. Infine, l’Umbria, dove il Comitato provinciale di Perugia e quello locale di Città di Castello registrano “saldi amministrativi negativi”.
L’ABBANDONO
Ma le grane per la CRI non finiscono qui. L’ente diretto da Francesco Rocca, infatti, per assolvere i compiti istituzionali si avvale di circa 1.100 dipendenti militari, a cui si aggiunge un vasto serbatoio di personale militare composto da 19.000 riservisti. Gran parte di costoro ancora attendono di ricevere stipendi arretrati. Stipendi che erano stati previsti e ratificati dal governo nel bilancio 2013 e 2014. Ma non sono mai arrivati. Era stata la stessa Beatrice Lorenzin, il 30 giugno 2013, a dire che erano stati disposti ben 14,5 milioni per gli aggiornamenti stipendiali. Ma alle parole non sono seguiti i fatti. E i lavoratori attendono. Da oltre 7 anni. Insomma, da una parte un ente in pesante debito. Dall’altra uno Stato che, ancora una volta, promette parole. Al vento.