di Monica Setta
Ora che la sua poltrona di assessore alla Cultura o al marketing in Regione Lombardia con la giunta di Bobo Maroni sembra irrimediabilmente sfumata, della fierezza monolitica di Paola Ferrari sposata De Benedetti, trucco traslucido e folte chiome biondo-paglia naturalmente spioventi su un décolleté mozzafiato, non restano che tenere, friabili briciole. La sua giustificazione offerta al Corriere della sera evidentemente non tiene, ma fa niente. La giornalista, accusata di non avere la laurea dunque con il curriculum parzialmente a posto, replica, piccata, ai presunti detrattori che non l’hanno voluta al Pirellone ostentando disinvolta indifferenza: fare politica? No, forse meglio restare alla guida della Domenica sportiva, ho il mio pubblico, sospira, la mia collocazione nel mondo. Amen. Se è per questo, la grintosa Paola ne ha da vendere di cose belle nella sua vita. Oltre alla tv, ha un marito ricchissimo, Marco, erede dell’Ingegnere (gruppo Espresso la Repubblica), due figli da copertina, una villa sontuosa e iper accessoriata, un fisico ancora tonico malgrado abbia superato i fatidici “anta” e una catena variopinta di amicizie fra cui spicca, a torto o a ragione, la volitiva Daniela Santanchė . Ci si chiede pertanto quale sia il sopito, insidioso tarlo che inquieta l’animo della statuaria giornalista Rai che potrebbe tranquillamente dividersi fra video e famiglia, forte di una sicurezza economica fondata sulle fortune dell’impero del suocero Carlo De Benedetti e invece si agita, scompone assetti, ristruttura situazioni cercando di reinventarsi sempre diversa da come è. Viene il sospetto che Paola in realtà non si piaccia se sembra l’unica a considerare d’aver bisogno di svariati orpelli, cariche, accessori, riconoscimenti, tributi, servizi fotografici e interviste a tutta pagina per ribadire che lei un posto ce l’ha eccome, e che posto, alla faccia degli invidiosi! Afflitta da un terribile mal di testa che le avrebbe impedito di riprodursi per la terza volta, la Ferrari è preda di una sindrome da maestrina che le impone di essere comunque pedagogica ponendosi come esempio (possibilmente nobile) per tutte le altre donne del mondo. La sua aspirazione è lavorare per le donne, anche se non è affatto detto che ciò sia un bene per lei stessa (e per il genere femminile) . Che sia generosa è indubitabile; se richiesta, dispensa consigli quasi tutti azzeccati e non si risparmia. Ricordo che una volta, malgrado il lavoro, fece i salti mortali per portare i suoi bambini, allora piccoli, al compleanno di mia figlia Gaia: non ama delegare a tate e baby sitter, si occupa perfino dei regali per le feste, delle attività extra scolastiche, della cucina di casa. Infaticabile, anni fa si fece cooptare dal cast di Ballando con le stelle esibendo gambe favolose e aggressività da vendere. Se non fosse per quel tono ex cathedra, retrogusto cantilenante e ossessivo, Paola sarebbe perfetta. Se non fosse per quella voglia di fare-fare-fare sarebbe amata da tutti. Ma se non fosse così genuinamente convinta di essere un “valore aggiunto” per tutto ciò che fa – dalla politica al sociale passando per la tv – si sarebbe accorta in anticipo che le amicizie femminili non sopravvivono mai al tritacarne dei giochi partitici, neanche se vengono fatti da Maroni e dalla sua fedele personal assistant Isabella Votino. Se Paola fosse stata più furba si sarebbe protetta dalla sua irrefrenabile voglia di esserci e avrebbe saputo -ben prima che la sua candidatura come assessore alla Regione Lombardia venisse bruscamente rispedita al mittente – che non sempre chi trova un’amica trova un tesoro.