Di Gaetano Pedullà
Ora o mai più. Per il sindacato italiano oggi c’è la più grande occasione per lasciarsi alle spalle una cultura ottocentesca nella tutela del lavoro. Ieri a sorpresa Raffaele Bonanni ha annunciato l’addio alla segreteria della Cisl. La guidava dal 2006. Il 21 novembre prossimo, dopo 14 anni, toglierà il disturbo anche il leader della Uil, Luigi Angeletti. Una penosa storia di fondi sottratti al sindacato ha fatto fuori invece l’ex numero uno dell’Ugl, Giovanni Centrella. Resta al suo posto, al comando della Cgil, solo Susanna Camusso. Rieletta segretario generale con una maggioranza bulgara, appena qualche mese fa, qui non è la sua poltrona che traballa ma l’intera organizzazione, riuscita a perdersi per strada persino il suo storico partito di riferimento. Questo giornale dal primo giorno – quando dedicammo un’inchiesta agli affari della Cisl Spa – denuncia l’arretratezza del sindacato italiano. La Camusso per questo ci ha querelato e se i giudici le daranno ragione dovremo chiudere e mandare a casa tutti i giornalisti. Altri posti di lavoro inceneriti da chi dovrebbe sostenere l’occupazione e invece ha una responsabilità storica del disastro in cui viviamo. Tutelare il lavoro è però un compito nobile e necessario. Soprattutto in un mercato che sta cambiando profondamente. Di questo, un sindacato moderno deve prima di tutto rendersi conto. Continuare a difendere i privilegi di chi un posto fisso ce l’ha, a costo di chiudere la strada ai tanti che potrebbero trovare un lavoro solo a patto di accettare nuove forme di impiego – precario, a progetto, interinale, autoimprenditoriale, ecc. – significa non capire che il passato è passato e il futuro non può più aspettare. Il sindacato italiano saprà diventare più moderno? Le premesse non sono buone. Ma la speranza è l’ultima a morire.