Di Stefano Sansonetti
È uno di quei capitoli di spesa sui quali tutti sanno che bisogna intervenire. Nessuno, però, per adesso è mai riuscito ad abbozzare un intervento efficace. Eppure, in un periodo di vacche magre per i conti dello Stato, un’azione di contenimento degli affitti pagati dalle pubbliche amministrazioni per le loro sedi sarebbe indispensabile. Perché queste spese continuano a pesare come un macigno. Si pensi a quello che succede all’Agenzia delle entrate, da poco tempo guidata da Rossella Orlandi, struttura a dir poco strategica per il recupero di risorse dagli evasori. Peccato che, per trovare sedi sul territorio nazionale in cui sistemare i suoi dipendenti, l’Agenzia ancora oggi debba pagare la bellezza di 483 contratti di locazione. Un ginepraio di immobili il cui affitto annuale costa complessivamente 189 milioni, che con l’aggiunta di Iva diventano 212. Ora, quello delle locazioni passive è un problema storico che affligge quasi tutta la pubblica amministrazione italiana (si parla di costi da 1,2 miliardi solo a livello centrale, che possono arrivare a 12 miliardi in periferia). Ciò non toglie che fa una certa impressione scorrere la lista dei 483 contratti. Per gli amanti dei calcoli si tratta di più di 4 immobili che in media l’Agenzia deve affittare da esterni per ciascuna delle (moribonde) province italiane.
Il nodo
E qui si torna alla solita domanda a cui, a quanto pare, nessun governo riesce a dare una risposta: come mai, se è vero che il patrimonio immobiliare pubblico vale circa 350 miliardi di euro, non si riescono a trovare sistemazioni a costo zero per le sedi dell’amministrazione? Sia chiaro. Nessuno mette in discussione che l’Agenzia delle entrate, o un qualsiasi altro ufficio pubblico, debba essere presente sul territorio. Ma se per farlo si è costretti a ricorrere a 483 contratti, per un esborso complessivo di 189 milioni, è evidente che qualcosa non va. Scorrendo l’elenco degli affitti si apprende che la maggior parte di essi sono attivati nelle regioni più grandi: Lombardia (67), Piemonte (54), Campania (33) e Lazio (32). Ma anche regioni non certo enormi vantano la loro bella dote di contratti. In Abruzzo, per esempio, sono 18. L’affitto più costoso, pari a 9,9 milioni di euro l’anno, viene pagato a Milano per ospitare la sede della Direzione regionale della Lombardia e l’ufficio del territorio. Altri 6,1 milioni se ne vanno per la locazione annuale di alcuni uffici della sede centrale di Roma, a via Cristoforo Colombo. In questo caso i documenti dell’Agenzia delle entrate parlano anche di un “terzo utilizzatore”, ovvero uffici di Banca Intesa, a un canone di locazione attivo di 20.800 euro. Un altro ufficio centrale di Roma, a via Giorgione, si porta via un canone annuale di 4,4 milioni di euro, mentre 4,9 milioni se ne vanno per affittare un’altra sede romana che ospita il centro di gestione documentale. Anche in Campania non si scherza, visto che Direzione regionale e ufficio del territorio sono sistemati in un immobile napoletano da 5,1 milioni di costi di locazione.
La distribuzione
Contattata da La Notizia, l’Agenzia delle entrate ha spiegato che “l’articolazione territoriale degli uffici si è basata sia sul numero di contribuenti presenti nel bacino d’utenza di ogni singolo ufficio, sia sulla conformazione del territorio e sui collegamenti tra i centri urbani che ricadono all’interno di questi bacini di utenza”. In più gli immobili da locare sono scelti “attraverso indagini di mercato pubbliche e i canoni sono sempre congruiti dall’Agenzia del demanio”. Ciò non toglie che un problema di sovrabbondanza c’è, se la stessa struttura spiega che “in seguito all’incorporazione dell’Agenzia del territorio è stato avviato un programma di razionalizzazione che comporterà l’accorpamento di alcuni uffici”. E se è vero, concludono le Entrate, che in base alla recente normativa “l’Agenzia ha dato il via a un ulteriore piano di razionalizzazione che verrà presentato, secondo quanto previsto dalla legge, all’Agenzia del demanio entro il 30 giugno del 2015”.
Twitter: @SSansonetti