di Monica Setta
“Ho portato la mia famiglia a votare per le primarie del PD perchè siamo alla vigilia di un passaggio politico importante per il Paese. Matteo Renzi rappresenta il modo per uscire da uno dei momenti più bui della storia della nostra Repubblica. Sarebbe necessario che tutto il suo partito chiedesse all’attuale segretario Pierluigi Bersani di fare un passo indietro per lasciare la guida del Pd a Renzi”. Sandro Riello, imprenditore molto influente in Confindustria, è considerato un moderato, uno che preferisce parlare di politica industriale piuttosto che di alleanze fra partiti, perciò stupisce questa sua presa di posizione così netta, inequivocabile.
Nessuna intenzione, però, di fare politica in prima persona, puntualizza lui in questa intervista a La notizia. Gli basta sedere sulla poltrona di vicepresidente della Giordano Riello International group, un’azienda familiare presente in tutto il mondo.
Domanda. Lei sostiene che il segretario del Pd dovrebbe farsi da parte per lasciare la sua poltrona a Renzi. Ma Bersani è il risultato di una vittoria democratica del popolo del Pd ottenuta attraverso il voto di tanti che, come lei e la sua famiglia, sono andati ad esprimere una preferenza alle primarie. Renzi potrà stare anche più simpatico di Bersani, ma ha perso. Con quale logica lei propone di ribaltare il responso, democratico – lo ribadiamo- delle primarie?
Risposta. “Io sono il primo a stimare Bersani che conosco da tanti anni. È una persona equilibrata e competente, nessuno lo mette in dubbio. Ma non è l’uomo giusto per questa fase della politica dove le spinte eversive di Grillo impongono alle forze democratiche del paese di ricompattarsi. È vero che il segretario è uscito vincente dalle primarie, ma oggi si trova a governare un partito dove sopravvivono troppe anime e dove la sua non è una leadership carismatica. Renzi, invece, ha destrutturato la politica portando una ventata di “nuovo” in grado di contrapporsi positivamente alla vasta area esclusivamente protestataria rappresentata dai grillini. Non sono il primo osservatore a dire che se ci fosse stato Renzi alle ultime elezioni il Pd avrebbe guadagnato molti voti in più che invece sono andati, in parte, al Movimento 5 stelle. Immagino che nelle dinamiche democratiche di un partito possa essere previsto un atto di umiltà da parte di un segretario che fa un passo indietro a vantaggio di un giovane come Renzi capace di coagulare maggiore consenso e di esprimere maggiore efficacia”.
D. Mi faccia capire, visto che lei rappresenta il punto di vista anche di tanti altri imprenditori, che cosa la convince di Renzi, a parte il nuovismo e una certa ars oratoria indubbiamente più televisiva rispetto al genuino pragmatismo bersaniano. Che cosa ha Renzi in più rispetto alla vecchia classe dirigente del Pd fatta di donne e uomini, in parecchi casi, con bellissime storie personali e politiche?
R. “Renzi è stato il primo a capire una cosa importante: la seconda Repubblica non ha prodotto alcun rinnovamento sul piano dell’establishment. Con la fine della prima abbiamo perso tutte le figure emblematiche della politica post bellica italiana, ormai siamo già nella terza Repubblica e non possiamo fare altro che “ rottamare”. Destra e sinistra intese in senso ideologico o valoriale così come avevamo imparato a conoscerle non esistono più. Esiste l’urgenza di offrire agli italiani moderati, perbene e di buona volontà, una bandiera sotto cui militare oppure un partito realmente innovatore in cui riconoscersi. So bene che nel Pd ci sono i D’Alema, le Rosy Bindi, la Finocchiaro, Franceschini, tutta gente con una storia seria alle spalle, ma che non esprime alcun rinnovamento essenziale, se non a parole. Ecco con Bersani tutti questi vecchi volti, pur stimabili ma ormai superati dalla storia, rimangono comunque in gioco”.
D. Si riferisce all’ipotesi di cui si discute in questi giorni di un governo istituzionale a guida di Anna Finocchiaro e di una candidatura abbastanza blindata di Massimo D’Alema per il dopo Napolitano al Quirinale?
R. “Esattamente. Non credo che D’Alema sarebbe la persona giusta per venire dopo un grande presidente come Giorgio Napolitano, il migliore di tutti. Napolitano ha gestito nel suo settennato emergenze difficilissime a cominciare dall’economia e ha sempre dato prova di saper essere mai “ di parte”. Ha saputo guardare all’insieme, al bene comune del Paese, non agli interessi particolari. Anche la Finocchiaro è un’ottima persona, ma da quanto tempo è in politica? Una vita. Come premier di un governo istituzionale allora meglio un tecnico che provenga dalla scuola della Banca d’Italia. Il dg Fabrizio Saccomanni è una possibilità”.
D. Che cosa ha pensato quando ha visto un drappello di deputati del PDL manifestare davanti al palazzo di Giustizia di Milano per difendere il legittimo impedimento del loro leader Silvio Berlusconi a non presenziare all’udienza di un processo dove è imputato?
R. ”Ho pensato che eravamo semplicemente davanti ad una delle tante commedie italiane, una forma di protesta folcloristica che fa sorridere oltre l’indignazione. Io non ho mai amato Silvio Berlusconi neanche quando incantava molti imprenditori, ma sono sempre stato garantista. Penso che il miglior modo di testimoniare la propria innocenza sia quello di farsi processare, di dare corso alla giustizia. Sulle responsabilità storiche di Berlusconi nel vuoto politico della cosiddetta seconda Repubblica ci sarebbe da discutere a lungo. Mi limito a dire che a prescindere da qualsiasi rimonta nelle urne e da una campagna elettorale combattuta in modo appassionato, il ciclo politico del Cavaliere è chiuso. Berlusconi fa parte di un’epoca che non esiste più”.
D. E di Beppe Grillo, invece, che giudizio ha politicamente?
R. “Lo ritengo un po’ il figlio, politicamente parlando della Lega, anzi di Umberto Bossi. Grillo ricorda i leghisti della prima ora che avevano il disprezzo per la Roma dei palazzi romani, che difendevano la loro anomalia con fierezza, il loro essere terragni e autentici. E poi ha visto come sono finiti? Travolti anche loro dagli scandali. La Lega come l’aveva fondata Bossi non c’è più, i contenuti e i metodi di quella protesta sono passati in parte al movimento 5 stelle che rappresenta in parlamento il 25 per cento ma rischia di non contare niente”.
D. Quali sono secondo gli imprenditori le urgenze economiche del prossimo governo, chiunque sia il presidente del consiglio?
R. “È necessario riportare al centro del dibattito il tema dell’occupazione. Agire sulla leva fiscale è decisivo per far crescere il salario di chi ha già un lavoro ma anche per creare direttamente nuova occupazione. Bisogna destinare tutte le risorse necessarie per rilanciare il lavoro. Bisogna essere coraggiosi e immaginare un modello di sviluppo che punti sulla crescita come fattore di risanamento. Poi bisogna tagliare ancora drasticamente i costi della politica e ridare fiato alle aziende. Noi con le nostre imprese familiari siamo il tessuto connettivo che tiene l’economia di questo paese. E non dimentichiamo, perchè è fondamentale, la riforma elettorale per dare stabilità al paese. Noi imprenditori abbiamo tanto entusiasmo per ripartire se solo dalla politica ci arrivasse un segnale inequivocabile di rinnovamento. Ma che sia un rinnovamento vero, alla Renzi per intenderci, altrimenti finiremo per perdere anche l’occasione della terza Repubblica”.