Di Fabio Tamburini per Il Corriere della Sera
Qual è il Paese tra i principali europei con il saldo migliore tra entrate e spese (al netto degli interessi) delle amministrazioni pubbliche negli ultimi 20 anni? L’Italia, e con molto distacco, considerando che ha cumulato 585 miliardi di euro del cosiddetto avanzo primario (con un 20 per cento riferibile alle privatizzazioni), contro gli 80 miliardi della Germania (dal 1995) e saldi negativi per Francia (-479 miliardi) e Spagna (-270 miliardi). Peccato che ciò sia servito in gran parte a pagare gli interessi sulla fonte principale dei guai, il debito pubblico. I numeri sono tratti da un’analisi comparata sulla finanza pubblica che ha messo a punto un team coordinato da Roberto Poli, uno dei più prestigiosi consulenti italiani, 75 anni di cui nove alla presidenza dell’Eni, ben conosciuto per lo spirito super partes che, in passato, gli ha permesso di coltivare relazioni privilegiate con Romano Prodi come con Silvio Berlusconi.
«Ritengo che sia necessaria una svolta», spiega Poli, «ma, prima d’intervenire, occorre conoscere. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha dimostrato di saper osare. E’ opportuno che lo faccia anche in economia». E aggiunge: «Giulio Andreotti disse una delle frasi rimaste nella storia della politica italiana “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”, ma Franklin Delano Roosevelt, lo statista americano, aveva invece affermato nel 1932 che “è molto meglio osare cose straordinarie piuttosto che vivere nel grigio e indistinto crepuscolo che non conosce né vittorie né sconfitte”».
Negli ultimi 20 anni l’avanzo primario italiano ha rappresentato mediamente il 2,1% del Prodotto interno lordo (Pil) contro lo 0,2% della Germania. Il problema è che tanta abbondanza è finita nella voragine della spesa per interessi da pagare sul debito pubblico che, per l’Italia, ha significato 1.650 miliardi (pari al 6% del Pil), contro 1.058 miliardi d’interessi pagati dalla Germania (anche in questo caso dal 1995, pari al 2,4% del Pil), 870 miliardi dalla Francia (2,6% del Pil), 386 miliardi dalla Spagna (2,4% del Pil). «In sintesi», commenta Poli, «un debitore con debito elevato paga interessi più che proporzionali. E tutto questo è la conferma del peccato originale che l’Italia si trascina dal 1992, l’anno della firma del Trattato di Maastricht, sottoscritto pur avendo un parametro del tutto fuori controllo: il debito pubblico, che rappresentava il 104,7%del Pil contro il 42% della Germania, il 39,7% della Francia e il 45,5% della Spagna».
L’intenzione era diminuirlo progressivamente. Fino al 2007 l’Italia era l’unico Paese che l’aveva ridotto in rapporto al Pil. Poi a causa della grande crisi, dal 2008 è cambiato tutto. Infatti il saldo a fine 2013 è risalito al 132,3% del Pil contro l’80,4% della Germania, il 93,5% della Francia e il 93,7 % della Spagna. La beffa è che il debito pubblico italiano resta fuori controllo nonostante i sacrifici per contenerlo, che peraltro hanno dato risultati significativi. Tanto che negli ultimi 20 anni il debito pubblico lordo è cresciuto in termini percentuali sul Pil di 28 punti in Italia, 38 in Germania, 53 in Francia e 48 in Spagna.
«Nei tre Paesi presi come confronto il debito pubblico è aumentato in misura significativa anche dopo il 2008», commenta Poli, «perché aprire il rubinetto della spesa pubblica è servito a ridurre, almeno in parte, gli effetti negativi della grande crisi. L’Italia non ha potuto farlo nel tentativo di tenere sotto controllo il debito pubblico ed il deficit annuale grazie all’avanzo primario, ma il prezzo pagato dal Paese è stato alto. L’avanzo primario significa una tassazione maggiore, minori spese correnti e investimenti, riduzione dei consumi. E ciò ha comportato un trasferimento massiccio di risorse dall’economia reale a quella finanziaria. Una vera doccia fredda, e prolungata, sulla crescita».
Ecco perché, sempre secondo Poli, «servono provvedimenti straordinari, incisivi e contemporanei. Serve una rivoluzione che Renzi può fare. I punti fondamentali sono tre. Primo: riduzione dello stock di debito pubblico per un ammontare di almeno 400 miliardi di euro destinando parte importante del risparmio d’interessi alla riduzione delle imposte alle imprese e ai cittadini, con l’effetto di favorire la crescita. Secondo: revisione straordinaria e completa della spesa pubblica per ridurre il deficit annuale puntando su un forte aumento della produttività e meccanismi avanzati di controllo. Terzo: approvazione di nuove regole che, mantenendo la libertà di spesa delle amministrazioni locali e degli enti centrali, assicurino che essa avvenga secondo criteri di produttività».
La necessità, sostiene Poli, è «di convertire una parte significativa dello stock di debito pubblico in quote di un fondo del patrimonio pubblico immobiliare da valorizzare e rendere redditizio tramite una gestione professionale con degli obiettivi chiari. Contemporaneamente occorre riconsiderare e riqualificare le spese reintroducendo la distinzione tra quelle obbligatorie, destinate a soddisfare le esigenze di base dei cittadini, e quelle facoltative. Le prime vanno riviste selettivamente, mentre le seconde sono da tagliare».
Finora, ricordando la battuta di Andreotti, si è tirato avanti cercando di quadrare i conti, magari non pagando i debiti della pubblica amministrazione verso le imprese. «Adesso non basta più perché sei anni di crisi hanno prodotto effetti devastanti sul Paese», conclude Poli. «Ecco perché occorre imparare da Roosevelt: saper osare per assicurare un futuro alle giovani generazioni. Renzi lo faccia, gli italiani capiranno».