Di Marzio Brusini e Ersilio Mattioni per l’Espresso
Di tutto e di più negli staff degli assessori regionali lombardi. A scorrere l’elenco dei consulenti a supporto degli organi di indirizzo politico c’è da rimanere sconcertati. Maestre d’asilo, camerieri di pizzerie, animatrici di miniclub, consiglieri e assessori comunali in cerca di doppio stipendio, laureati a pieni voti, professionisti affermati. Tutti insieme appassionatamente alla voce «rapporto fiduciario» che regola questi contratti di collaborazioni coordinate e continuative con stipendi oscillanti tra i 15mila e i 40mila euro l’anno.
Collaborazioni che di fatto nessuno verifica né è in grado di considerare realmente utili o meno all’attività degli assessori. Sfugge come possa un’assistente alle insegnanti di un asilo di Viadana, in provincia di Mantova, essere la persona più adatta per occuparsi di relazioni esterne «connesse sia alle pari opportunità che agli eventi sismici del maggio 2012 nel mantovano».
Oppure come possa un amministratore di condominio essere il più adatto a gestire il «monitoraggio dei mercati agricoli e lo studio delle risorse finanziarie europee». O ancora un cameriere di una pizzeria in un piccolo paese nella bergamasca chiamato al compito di coordinare i rapporti con il consiglio regionale. E che dire infine di una laureanda in lettere moderne, con un recente stage presso una scuola di inglese a New York, chiamata a monitorare gli indirizzi strategici di Regione Lombardia?
Ci sono, anche, professionisti e tecnici ma perfettamente miscelati a giovani inesperti e figure spesso prive dei più elementare requisiti curriculari. Il caso più clamoroso, sollevato da L’Espresso settimana scorsa, è quello dell’ autista tuttofare di Mario Mantovani , vicepresidente e assessore alla Sanità: per il ragazzo di bottega, 21 anni e un diploma al liceo di Arconate, piccolo centro dell’hinterland milanese, un contratto da 16 mila euro per occuparsi di “analisi dei costi della spesa farmaceutica territoriale e ospedaliera”.
Peraltro, non è affatto chiaro come possano certe segretarie essere retribuite di più di laureati e iscritti agli ordini professionali in una sorta di piramide rovesciata rispetto ai contratti nazionali delle regioni e delle autonomie locali. Un autentico mistero.
Il lettore può consultare da sé gli elenchi e i curricula dei consulenti degli assessori. E’ semplice, basta cliccare sulla home page il link ‘amministrazione trasparente’, scegliendo prima l’opzione ‘consulenti e collaboratori’ e poi ‘incarichi di collaborazione a supporto degli organi politici’.
Tutti ‘assunti’ grazie all’articolo 23 della legge regionale 20 del 2008.
La normativa, per la verità, stabilisce il numero massimo dei componenti delle segreterie dei membri della giunta (dieci per il governatore, otto per il suo vice e sei per ogni assessori) da scegliere fra il personale già in servizio al Pirellone. Se occorre una competenza specifica e se tale competenza è irreperibile all’interno della Regione, si ricorre a personale esterno. L’impressione è che gli assessori interpretino la legge in maniera molto liberale e anzi quasi anarchica, spesso scegliendo non in base a curricula ed esperienza, bensì amicizia, parentela e vicinanza politica. Solo Alberto Cavalli, assessore alle infrastrutture e alla mobilità, ha rinunciato a farsi una segreteria sul modello dei suoi colleghi di giunta: due segreterie prese in prestito dalla struttura dei dipendenti regionali.
Tipico malcostume italiano è invece quello dei politici che una volta non rieletti pensano bene di farsi reclutare come consulenti dai colleghi di partito. A mò di esempio basta citare Mario Labolani che risulta collaboratore dell’assessore al territorio Viviana Beccalossi. Labolani, che si occupa di «rapporti con i rappresentanti istituzionali, enti e associazioni che a vario titolo sono coinvolte nella redazione delle proposte di leggi regionali sul consumo e difesa del suolo», si è seduto in giunta a Brescia dal 2008 al 2012 in qualità di assessore al verde pubblico in quota Fratelli d’Italia.
Di contro l’ex assessore provinciale milanese, il leghista Stefano Bolognini, ha rifiutato l’offerta del suo partito di essere parcheggiato provvisoriamente come collaboratore presso l’assessore alla cultura Cristina Cappellini. Non così Roberto Valenti, ex vicesindaco di Marcallo con Casone, un comune di 5 mila abitanti vicino a Magenta, dove per dieci anni è stato sindaco con un monocolore del Carroccio Massimo Garavaglia, oggi assessore al Bilancio nella giunta Maroni. Valenti, travolto dalle polemiche per le bollette troppo alte del suo cellulare di servizio, fu messo in disparte dalla Lega alle elezioni dello scorso maggio. Fuori dalla lista e fuori dai giochi. Ma con uno stipendio extra. Valenti oggi guadagna 28 mila e 500 euro “per attività di comunicazione, gestione rapporti con i giornalisti, stesura testi”.
Poi ci sono quelli che lo stipendio lo ricercano esclusivamente negli enti pubblici. Un fulgido esempio lo fornisce il consigliere comunale milanese di Forza Italia Pietro Tatarella che vanta un curriculum ineguagliabile: consulente dell’assessore alla casa e all’housing sociale, membro del comitato tecnico-scientifico del Fondo provinciale per la Cooperazione Internazionale, consigliere di amministrazione dell’Ente Fiera di Castelbarco. Praticamente un tuttologo se non fosse che il suo curriculum è privo di qualsiasi competenze in ciascuno di questi ambiti.
C’è poi il modello a conduzione familiare come quello dell’assessore alla casa, housing sociale e pari opportunità Paola Bulbarelli. Non la sua di famiglia ma quella di Daniela Santanché. La «pitonessa» è riuscita a piazzare l’avvocatessa Valeria Valido, che è stata a lungo tempo la sua più stretta collaboratrice nonché amica del faccendiere della P4 Luigi Bisignani, a caposegreteria dell’assessore. A seguire contratti per un ex dipendente della sua società, Visibilia, e per l’ex assistente della nipote Silvia Garnero già assessore della Provincia di Milano.
In ultimo tra i collaboratori degli assessori lombardi non poteva mancare una figura più che imbarazzante, il mandante dei manifesti «Via le BR dalle Procure» affissi nell’aprile 2011 lungo le strade di Milano in occasione delle elezioni comunali. Giacomo Di Capua, caposegreteria del vicepresidente di Regione Lombardia e assessore alla sanità Mario Mantovani, finì condannato per vilipendio dell’ordinamento giudiziario dopo che inizialmente venne accusato un altro esponente pidiellino, Roberto Lassini, che fu costretto coram populo a rinunciare alla candidatura nella lista a sostegno di Letizia Moratti. I Pm milanesi nel 2012 ottennero l’archiviazione per Lassini e la condanna di Di Capua «ritenuto l’ideatore del contenuto dei manifesti diffamatori e sostanzialmente il committente delle affissioni». Caduto in disgrazia il primo, per il secondo la poltrona è garantita. Voce del capitolo rapporto fiduciario, con uno stipendio che tutti indicano come molto elevato. Piccolo dettaglio: regione Lombardia non lo rende noto. Giorni e giorni di ricerca sono stati inutili, il compenso del pupillo di Mantovani resta un oggetto misterioso.
E’ la politica, ancora una volta, a dare il cattivo esempio. Scarsa trasparenza e parametri alquanto discutibili per assegnare incarichi remunerativi dimenticandosi il concetto di «merito». E soprattutto una domanda resta senza risposta: qual è il valore aggiunto che questo variegato esercito di consulenti esterni chiamato a occuparsi dello scibile umano, dalle spese dei farmaci all’Expo, porta ai cittadini della regione più ricca d’Italia?