Di Lapo Mazzei
Quella che sta letteralmente paralizzando il Paese, ovvero la discussione in Aula per la modifica del Senato, è una riforma Costituzionale, non una semplice operazione di facciata, realizzabile attraverso un tratto di penna. E, come tale, meriterebbe la massima attenzione. Per due ragioni. La prima è che le riforme vanno fatte, la seconda il prima possibile perché gli italiani, il Paese, ha bisogno d’altro, non di sterili bracci di ferro. Invece rischia di finire tutto in caciara, perché la maggioranza non accetta che la minoranza dica la sua. Grillini, Sel, frondisti di Pd e Forza Italia, Lega e altri ancora non si battono per difendere la loro poltrona, ma per il rispetto delle regole del gioco. Decalogo che l’esecutivo sta cercando di plasmare a propria immagine e somiglianza, piegando regolamenti e codicilli a variabili indipendenti, quando sono i perni sui quali ruotano i meccanismi parlamentari. Come la cosiddetta “ghigliottina” erroneamente definita tagliola.
Ancora una ghigliottina
La presidente della Camera, Laura Boldrini, l’ha usata per la prima volta a Montecitorio nel gennaio scorso per bloccare l’ostruzionismo dei 5 Stelle sul decreto Imu-Bankitalia. Ma la “ghigliottina” è uno strumento del diritto parlamentare previsto dal regolamento del Senato (dove qualche volta è stato applicato) e per il principio dell’analogia anche alla Camera. In sostanza, altro non è che il passaggio diretto al voto finale di un decreto, in qualsiasi fase dell’esame esso si trovi. Ma secondo le interpretazioni degli esperti il contingentamento dei tempi si applica di decreti legge, non ai disegni di legge, figuriamoci a quelli valenza costituzionale. Per questa ragione ieri sera i deputati del Movimento 5 Stelle, della Lega e di Sel sono saliti al Colle per chiedere l’intervento del capo dello Stato contro l’uso della ghigliottina da parte della maggioranza al Senato. L’obiettivo di essere ricevuti dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non è stato centrato. “Napolitano non ha incontrato i capigruppo delle opposizioni perché era leggermente indisposto”, ha scritto su Twitter Beppe Grillo. Alcuni dei capigruppo delle opposizioni usciti dal Quirinale hanno spiegato che a riceverli è stato Donato Marra, segretario generale della presidenza della Repubblica.
Dialogo saltato completamente
Un malessere che non aiuta certo il dialogo fra le parti. Il contingentamento dei tempi sul voto, con il limite dell’8 agosto per il voto finale sul ddl Boschi da parte del Senato, ha fatto infuriare M5s e Lega Nord: “Abbiamo abbandonato l’aula per andare con tutta l’opposizione del Senato al Quirinale! È in corso un Colpo di Stato al Senato! Noi non ci stiamo”, ha scritto su twitter Patrizia Terzoni, deputata 5 Stelle. Non è bastato il Tweet del ministro Maria Elena Boschi a sedare gli animi: “L’ultima parola sulle riforme sarà dei cittadini: referendum comunque! #noalibi”. Così l’esponente del governo conferma la consultazione popolare sulle riforme. La dichiarazione è stata ritwittata dal premier Renzi. Ma è solo un pannicello caldo, dato che il passaggio popolare è previsto dalla Costituzione. Non si tratta, insomma, di una concessione del governo, che gioca troppo “sull’ignoranza”, nel senso che ignorano i dettagli tecnici, degli elettori. E così “entro l’8 agosto si dovrà votare, con il contingentamento”, ha annunciato il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, al termine della conferenza dei capigruppo chiamata a decidere sui tempi del ddl riforme. Un termine perentorio che sa di sfida. “Colpo di Stato o colpo di sole? #Pd è autoritario perché chiede referendum su riforme, frenatori sono democratici con 8000 emendamenti! #noalibi”, scrive su Twitter il senatore del Pd Andrea Marcucci. Modesta difesa per una partita troppo complessa. Fatele queste riforme, ma in fretta e senza drammi per il Paese. Che non ne può più.