Di Marcello Di Napoli
Altro che tregua umanitaria, adesso l’artiglieria israeliana colpisce anche le scuole. E non una qualunque. Si tratta infatti di uno degli edifici dell’Unrwa, l’ente dell’Onu che offre riparo a oltre 140mila profughi. Ma nell’attacco di ieri 150 persone sono rimaste ferite e 15 persone hanno perso la vita. La maggior parte erano bambini, i quali si stanno dimostrando le vittime preferite di una guerra che non guarda in faccia nessuno. E mentre l’esercito israeliano ha aperto un’inchiesta sull’episodio, Hamas minaccia una risposta: “Israele dovrà pagarne il prezzo”. La tregua a Gaza, quindi, non è vicina, al contrario di quello che ha detto ieri il negoziatore dell’Autorità Nazionale Palestine(Anp). Certo non “nelle prossime ore”, ma a quanto sembra nemmeno nei prossimi giorni. Anche perché già due giorni fa era arrivato lo stop di Hamas: “niente cessate il fuoco se l’esercito israeliano non lascia la Striscia e toglie il blocco”. Ma ieri mattina la chiusura secca era arrivata da Tel Aviv: “difficile una tregua nei prossimi giorni, se la condizione è che le truppe si ritirino”, ha detto il ministro della Scienza Yakoov Peri, ex capo della sicurezza. Quindi ancora nessun accordo. E si ricomincia a combattere.
Il bilancio
Al diciasettesimo giorno di guerra, il bilancio delle vittime è drammatico. I morti palestinesi sono più di 700 e la maggior parte sono civili, mentre quelli israeliani sono 34: tutti soldati in questo caso. Truppe israeliane hanno sparato dai carri armati colpendo i campi rifugiati di Bureij e Maghazi, tra Deir al-Balah e Gaza. Scontri fra i soldati e i militanti palestinesi sono stati registrati più a nord, a Beit Lahia, e il suono delle esplosioni si sentiva nella città. Le navi della marina israeliana hanno sparato più di cento colpi di cannone contro la costa della città di Gaza e della parte settentrionale della Striscia.
L’offensiva prosegue
E per quanto riguarda gli scontri che stanno dilaniando il paese non sono mancati i commenti di Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano, in una conferenza con il ministro degli Esteri britannico Philipp Hammond a Gerusalemme ha detto di voler continuare l’offensiva e di voler restituire la pace a Israele, aggiungendo che “l’uso di civili da parte di Hamas e Movimento per il jihad islamico è una farsa”. Stesso aggettivo che aveva utilizzato per commentare le accuse lanciate dalle Nazioni Unite, dove a Ginevra ha approvato una risoluzione per una commisione di inchiesta internazionale per un indagine riguardo agli eventuali crimini di guerra commessi dallo Stato ebraico.
Il lavoro della diplomazia
Se a Ginevra è il tempo delle condanne, la diplomazia ha cercato di tessere al meglio la sua rete per la tregua direttamente sul campo. Kerry ha fatto la spola tra Gerusalemme e Ramallah incontrando Netanyahu e il leader palestinese Abu Mazen, con un saluto, non programmato, al presidente Shimon Peres al suo ultimo giorno di mandato. Ha poi riferito tutto al presidente Obama dal Cairo. “C’è qualche passo avanti” verso il cessate il fuoco a Gaza, ma”, ha ammesso, “c’è ancora bisogno di lavoro”. Quanto sia questo lavoro per ora non si sa. Tuttavia, secondo fonti diplomatiche egiziane al Cairo, Kerry non è riuscito a convincere i palestinesi (il cui leader Abu Mazen ora ha sposato le richieste di Hamas per una tregua) ad accettare l’iniziativa dell’Egitto per un cessate il fuoco. Per questo starebbe “ricorrendo” alla Turchia e al Qatar affinché intervengano su Hamas. L’impressione è che il vero bandolo della matassa resti però all’interno stesso di Gaza: dentro Hamas e le altre fazioni. Kerry nell’incontro a Ramallah ha anche sottolineato che la sponda palestinese è fondamentale, visto che è stato “costantemente in contatto con il presidente Abu Mazen per tutto questo mese e specialmente in questa ultima settimana, per discutere una tregua che possa soddisfare tutte le parti”.