Di Michele Boroni per Il Foglio
Così come Amazon è diventato il nemico numero uno per l’editoria e i servizi di streaming, come Spotify per il mercato discografico, così oggi in gran parte dell’occidente Airbnb rappresenta il nemico dell’industria alberghiera. E non solo. Il servizio americano nato sul web nel 2008 che permette a chiunque di affittare o subaffittare la propria casa per pochi giorni, si è propagato in pochi anni in modo virale raggiungendo duecento paesi. Gli oltre 11 milioni di clienti in tutto il mondo che hanno utilizzato Airbnb nel 2013 possono infatti rappresentare circa 10 milioni di camere di hotel prenotate in meno.
All’inizio gli operatori lo equiparavano a un servizio di terza classe, utile per viaggiatori al risparmio che non avrebbero mai prenotato un hotel, oggi con la vasta offerta di appartamenti che include anche dimore di lusso si è capito che l’attività di Airbnb coinvolge l’intera filiera del settore turistico. Forse il paragone più azzeccato è quello con Uber contro i tassisti nel comparto della mobilità urbana. Da qualche tempo infatti Airbnb sta incontrando, da una lato, una serie di ostacoli legislativi e fiscali e, dall’altro, alcuni importanti riconoscimenti da parte del mercato.
La Spagna, più precisamente la Catalogna, ha di recente multato Airbnb e altre società del settore per non aver rispettato le leggi locali sull’affitto che prevedono la registrazione degli appartamenti affittati per turismo, inibendo di fatto l’attività principale del sito californiano. Peraltro Barcellona, dopo New York e Parigi, è la terza città più richiesta.
Ogni nazione ha una legislazione a sé in materia di affitti e subaffiti turistici, ma è il tema fiscale quello più dibattuto: Airbnb sul sito invita i proprietari a “familiarizzare” con le normative fiscali e a rispettarle, tuttavia gli affittuari, pur svolgendo un servizio di soggiorno, non sono registrati come albergatori e non sono quindi tenuti a rispettare norme sanitarie e di sicurezza.
Airbnb trattiene una percentuale che va dal 6 al 12 per cento sulla somma pattuita tra locatore e locatario – a seconda del momento della prenotazione e numero di ospiti – ma la transazione fra i due soggetti non è tassata. A New York la legislazione parla chiaro: non si possono affittare stanze o mini appartamenti per meno di 30 giorni a meno che locatore e locatario condividano lo stesso tetto. Quanti possono essere secondo voi quelli in regola? Ecco, vi siete risposti da soli.
Tuttavia il comitato della Maratona di Nyc ha scelto come sponsor della manifestazione proprio Airbnb, perché secondo gli organizzatori rappresenta perfettamente il concetto di “community” che contraddistingue da decenni la manifestazione. La Nyc Marathon genera ogni anno un volume d’affari di 65 milioni di dollari, quindi potete immaginare come abbiano accolto questa decisione gli albergatori newyorchesi. Eppure è proprio in termini di marketing che quelli di Airbnb sono riusciti a colpire perfettamente nel segno. Il loro obiettivo non è solo quello di offrire ai clienti una sistemazione, ma offrire e condividere un’esperienza.
E questo concetto è ancora più chiaro con la nuova grafica del sito e la nuova identità che sono state presentate in diretta streaming da Brian Chesky e Joe Gebbia, due dei tre fondatori di Airbnb. Meno annunci e dettagli tecnici, poche informazioni immediate, più storie ed esperienze da vivere: per ogni annuncio grazie a un uso intelligente dei big data ci saranno segnalazioni di bar o ristoranti più vicini e informazioni sull’ambiente circostante tenendo conto delle inclinazioni personali dell’affittuario sulla base dell’età e delle passioni.
Rivoluzione anche del logo (Bélo: un misto tra un cuore rovesciato, una faccina e un indicatore di luogo. Risultato: un mix tra simbolo fallico e vaginale, oggetto di mille parodie in queste ore in rete) che le persone possono personalizzare per la propria offerta. Tornando però alla cose serie, è evidente che Airbnb rappresenta il futuro del turismo – peer 2 peer, moderno, disintermediato – ma è necessario trovare al più presto delle regolamentazioni chiare e possibilmente omogenee tra tutti i paesi per renderlo sostenibile economicamente, con il sostegno anche delle singole amministrazioni.